La Commissione Affari costituzionali di palazzo Madama ha votato sì all’emendamento dei relatori sulla riforma del Senato. L’approvazione del testo, che da lunedì sarà discusso dall’aula, è avvenuta grazie ai partiti di governo, alla Lega Nord e a Forza Italia. Dopo una giornata convulsa, in cui sembrava che l’accordo dovesse saltare, si è riusciti a trovare un’ampia intesa. “La riformulazione dell’emendamento – ha spiegato il capogruppo di Forza Italia in Senato, Paolo Romani – prevede che i seggi siano assegnati con metodo proporzionale in ragione dei voti espressi e della composizione di ciascun Consiglio regionale”. Ne abbiamo parlato con Miguel Gotor, senatore del Pd e membro della Commissione Affari costituzionali.



Come valuta la riforma del Senato approvata in commissione?

Abbiamo lavorato in questi mesi perché si raggiungesse questo obiettivo, per arrivare entro l’estate a una prima lettura al Senato. Questo obiettivo è stato raggiunto e lunedì inizieremo la discussione in aula. Sono soddisfatto anche perché rispetto al testo base il lavoro dei relatori Finocchiaro e Calderoli e dei miei colleghi ha migliorato in punti sensibili il testo iniziale. Le ragioni di soddisfazione quindi sono due: abbiamo rispettato i tempi e come Parlamento abbiamo fatto un buon lavoro.



Che cosa ne pensa del meccanismo proporzionale per l’elezione di secondo grado dei senatori?

Questo è stato il compromesso che ha consentito di sciogliere l’ultimo nodo. Sono da sempre stato convinto che un Senato delle autonomie debba essere composto da membri di secondo grado, cioè da eletti in modo indiretto. Non ho condiviso la battaglia di quanti volevano che avesse invece un’elezione diretta. Nell’ambito del secondo grado, la tipologia che abbiamo votato oggi è il compromesso minimo che si poteva raggiungere per superare l’ultimo scoglio in Commissione,anche se non è possibile escludere un nuovo intervento in aula. Nei mesi scorsi con altri senatori del Pd avevo proposto un secondo grado più rafforzato e qualificato, che mi sembrava meglio espresso dal modello elettivo francese, ma questa opzione non ha avuto il necessario spazio per affermarsi a causa dell’opposizione di Forza Italia.



Ieri mattina c’è stato un impasse in commissione, poi rientrato. Come si spiega quanto avvenuto?

L’ostruzionismo del M5S non ci ha consentito di iniziare già oggi pomeriggio i lavori in aula con la relazione di Finocchiaro e Calderoli, ma si tratta di un ritardo minimo perché ciò avverrà lunedì. In realtà all’interno della commissione c’è stata meno tensione di quanto sia stato percepito dall’esterno.

 

Che cosa ne pensa delle divisioni emerse all’interno del Pd per quanto riguarda la riforma del Senato?

Personalmente non le ho mai drammatizzate perché ritengo che siano fisiologiche. Stiamo attuando una riforma costituzionale, siamo un gruppo di 108 senatori, e cammin facendo abbiamo scoperto che 12-14 di loro erano favorevoli a un’elezione diretta. Mi sembrano percentuali del tutto normali, oltre che politicamente legittime. Sono state invece ingigantite, strumentalizzate e hanno occupato l’intero dibattito pubblico per mesi. Ciò è avvenuto un po’ perché le divisioni del Pd corrispondono a una sorta di «genere letterario» di successo, e un po’ perché questa strumentalizzazione è il prodotto degli opportunismi tipici della lotta politica. Quest’ultima ha le sue ipocrisie ed è servito a molti inventarsi un “nemico interno” della riforma per rafforzare le proprie posizioni.

 

A chi è servito esattamente inventarsi questo nemico interno?

E’ servito al sistema di comunicazione, che è anche un sistema di potere caratterizzato da crescenti elementi di conformismo, per dividere il dibattito tra sabotatori e innovatori, frondisti e riformatori, ma è servito in particolare a Forza Italia per nascondere le proprie divisioni interne. Forza Italia ha 59 senatori e tra i 25 e i 30 di loro, attorno a Minzolini, erano e sono favorevoli a un senato elettivo diretto. Ciononostante negli ultimi mesi si è parlato soprattutto delle divisioni del Pd, anche se di gran lunga inferiori. Valorizzare questo nemico interno è servito anche al Governo perché nel momento in cui si identifica un nemico interno si allargano le frontiere del consenso trasversale all’esterno. Ma al di là di questi aspetti tattici, ciò che conta, sul piano politico, è avere avviato il processo di riforma costituente che deve proseguire con la massima determinazione.

 

(Pietro Vernizzi)