“Non vogliamo sabotare o frenare le riforme di Renzi, ma il presidente del Consiglio dovrebbe discutere nel merito le nostre obiezioni anziché ricorrere a epiteti nei nostri confronti che costituiscono un segno di regressione della civiltà e del linguaggio politico”. E’ la posizione del senatore del Partito Democratico, Paolo Corsini, che non condivide alcuni aspetti della riforma del Senato votata dalla commissione Affari costituzionali, e che fa parte della schiera di dissidenti che Matteo Renzi ama definire come “gufi, sabotatori, rosiconi e professoroni”. Come spiega a Ilsussidiario.net, il senatore Corsini non ci sta a passare per sabotatore anche perché finora ha votato sì al 100% delle leggi di maggioranza proposte dal governo.



Che cosa non la convince della riforma del Senato?

Noi riteniamo che questa sia una “camerina” più che un Senato della Repubblica, e quindi siamo assolutamente convinti che non possa essere alterato il principio di rappresentanza. Siamo per un Senato eletto dai cittadini, e come risulta dai sondaggi la nostra è una posizione largamente condivisa. In questo Paese non si vota più per le province, per il Senato e il ceto politico sta fornendo un pessimo esempio di ripiegamento su se stesso e quasi di timore della volontà dei cittadini.



Quali altri problemi presenta il nuovo “Senato federale”?

Nel testo che esce dalla commissione questi senatori nominati potranno legiferare in materia di leggi costituzionali. Trovo inaccettabile che dei parlamentari di seconda nomina possano decidere su questioni così fondamentali.

La riforma del Senato va di pari passo con l’Italicum…

Anche questo è un aspetto molto importante. In presenza di una legge iper-maggioritaria come l’Italicum, il Senato deve mantenere alcune prerogative in ordine ai grandi temi, ai diritti, alle garanzie, alla libertà religiosa, ai diritti civili. Sono materie sottratte al Senato come esce dalla commissione, e questo non mi può trovare d’accordo. Le faccio un esempio molto banale. Poniamo che domani nel nostro Paese vinca le elezioni con una legge iper-maggioritaria una maggioranza estremamente laicista, che decida di introdurre l’eutanasia per i bambini. Di fronte a questi rischi occorre un Senato delle garanzie che costituisca un ulteriore momento di verifica e riflessione.



Per Renzi stiamo andando verso un modello tedesco. E’ vero o falso?

Sotto il profilo elettorale l’Italicum è un po’ spagnolo e un po’ francese. Mi domando però come si possa parlare di modello tedesco, quando il Bundesrat vede al suo interno i governi regionali. Questa “camerina” che loro chiamano Senato della Repubblica non ha quindi nulla a che vedere con il Bundesrat.

 

Per il ministro Boschi la riforma del Senato non ha nemici tra i cittadini. E’ davvero così?

Trovo che l’opinione pubblica italiana sia scarsamente interessata a questo tema, perché è invece molto interessata ai problemi della disoccupazione, del lavoro, della riduzione dei consumi, del futuro dei figli. Questi sono i problemi che angosciano gli italiani. Da sondaggi condotti dal Tg3, all’interno della trasmissione Ballarò, e da Antonio Noto di Ipr, risulta però che il 30-35% dei cittadini predilige un Senato di nominati, e un 60-65% opta assolutamente per un Senato di eletti.

 

Che cosa risponde a chi afferma che quanti si oppongono a un Senato di nominati lo fa più per motivi politici che ideali?

I cosiddetti “motivi politici” per me sono lontani anni luce. Ho sempre sostenuto l’azione di governo, ho il 99,17% di presenze in aula, e ho votato quasi al 100% per le leggi di maggioranza o proposte dal governo. Quella sul Senato elettivo per me è semplicemente una battaglia di principio, o meglio una testimonianza che mi sento di fare, perché il Senato così come è congegnato non è da me condiviso né per quanto riguarda la sua struttura ordinamentale né per quanto riguarda i fondamenti che lo reggono. Non c’è nessuna volontà di sabotare o di frenare le riforme del governo.

 

A chi si riferiva quando ha detto che i senatori dissidenti sono bollati come “gufi, sabotatori, rosiconi e professoroni”?

Non mi riferivo a divisioni interne al Pd, bensì a espressioni usate dal presidente del Consiglio, Matteo Renzi. Il premier Renzi però è anche il segretario del suo partito… Sì, ma io credo che una responsabilità in più, anche nell’uso della terminologia e del linguaggio, deriva dal fatto che Renzi è presidente del consiglio dei ministri, e non soltanto segretario del suo partito. Ciò dovrebbe invogliarlo a un processo di purificazione del linguaggio. In più di un’occasione Renzi e la Boschi anziché discutere nel merito le proposte avanzate definiscono i dissenzienti con degli epiteti. Io trovo questo un segno di regressione della civiltà e del linguaggio politico.

 

(Pietro Vernizzi)