Chi si ferma è perduto, diceva un vecchio adagio, e Matteo Renzi sembra averne fatto la sua strategia politica. Piano interno e piano europeo sono legato “indissolubilmente”, secondo il termine che utilizza nell’intervista al Corriere della Sera. Un viluppo cercato e voluto per far sì che un elemento trascini l’altro.
Ecco allora che la battaglia europea per l’allentamento del rigore trascina quella forse più difficile, quella per cambiare l’Italia, a partire dalle riforme costituzionali. Siamo al dunque, questa settimana si comincia a votare nell’aula del Senato, e Renzi non si mostra preoccupato dei mal di pancia nel suo Pd. Lucidamente si rende conto che non sarà sulla revisione della Costituzione che verrà tentato il colpo del ko. Avverrà subito dopo, quando si passerà a esaminare la riforma delle legge elettorale, l’Italicum, che ha già avuto un primo sì della Camera.
Non ha alcuna intenzione di rallentare il suo passo il presidente del Consiglio, e fa mostra di non legare la sua fretta all’ormai imminente sentenza d’appello per Berlusconi sul caso Ruby. Nobilita la cosa spiegando che l’urgenza è quella di dare agli italiani il messaggio che finalmente si cambia.
Certo, il rapporto privilegiato con Forza Italia costituisce oggi il punto debole della sua strategia. Mai come oggi Berlusconi appare debole, preoccupato dei suoi guai giudiziari e pressato dai suoi figli a occuparsi il meno possibile di politica per non danneggiare le aziende. Dentro il partito il dissenso non rientra: Raffaele Fitto non molla il punto, parla di un nutrito gruppo di perplessi, di un gruppo dirigente che sembra essersi fatto ipnotizzare da Renzi.
Difficilmente però qualcuno potrà resistere al richiamo che arriverà domani dallo stesso ex Cavaliere al rispetto dei patti sottoscritti, come testimonia uno che il mal di pancia ce l’ha da tempo, Renato Brunetta, secondo cui alla fine tutti si allineeranno al volere del leader. Certo, tutto cambierebbe con un Berlusconi condannato per il caso Ruby e costretto ai domiciliari. In quel caso scatterebbe una specie di “liberi tutti”. Nè Berlusconi, né Renzi ci vogliono pensare, anzi da Palazzo Chigi arriva l’ennesimo attestato di stima al leader di Forza Italia, che sinora “non ha mai fatto venire meno la sua parola”.
E di aprire per davvero ai 5 Stelle non ci pensa proprio il premier/segretario. Essere definito da Grillo e Casaleggio un bradipo non lo scalfisce, e manda avanti Debora Serracchiani a scagliare l’accusa di cui è convinto, che i grillini chiedano soltanto adesso il confronto per frenare le riforme.
Avanti tutta, dunque. Il problema vero ci sarà fra agosto e settembre sull’Italicum. Lì gli schieramenti saranno ben differenti, e la battaglia chiave sarà quella sulle preferenze. Si potrebbero saldare Nuovo Centrodestra, centristi sparsi, Sel (o ciò che ne rimane), Lega, 5 Stelle e i dissidenti democratici e azzurri. Il passaggio sarà molto più stretto, ma si tratta di una legge ordinaria, e i quorum sono parecchio più bassi.
Ai malpancisti di casa sua Renzi ha lanciato una sfida con l’accusa di voler difendere gli emolumenti dei senatori, accusa infame, e respinta con sdegno. In realtà, l’argomento più forte che il premier/segretario ha dalla sua è che dalle simulazioni fornitegli da Denis Verdini (e quindi considerate più sicure del Vangelo) il Pd vincerebbe oggi con qualunque sistema elettorale, Italicum, Mattarellum puro o corretto, e persino con il Consultellum. Dunque, chi nel Pd saboterà la legge elettorale non solo si metterà automaticamente fuori dal partito, ma sarà additato anche come un traditore della ventata di rinnovamento che percorre il paese. Vista la velocità supersonica del renzismo, simili accuse potrebbero trasformarsi in marchi d’infamia praticamente indelebili.
Il calcolo di Renzi è chiaro: con la quasi totalità dei voti del Pd dalla sua, buona parte di Forza Italia e un po’ di consensi sparsi attratti dalla sua personale sirena (ex Sel, ex Scelta civica) la legge dovrebbe passare. Al limite, per convincere qualche indeciso, ci potrebbe essere qualche cedimento concordato con Berlusconi: Si vocifera di un sistema ibrido allo studio, con i capilista eletti direttamente, nello spirito delle liste bloccate, e il gioco delle preferenze per i restanti posti. Un ex Cavaliere particolarmente indebolito potrebbe finire per accettare di bere anche questo amaro calice, pur di rimanere sulla scena nel ruolo di attore non protagonista.
Ogni scenario di questo genere presuppone però che Forza Italia non si sfaldi. Se il partito berlusconiano non dovesse reggere alla seconda condanna del suo leader, per Palazzo Chigi tutto diventerebbe più difficile. E più rischioso. A quel punto aver voluto legare insieme tutti i diversi piani potrebbe rivelarsi un boomerang per Renzi, perché il fallimento certificato su un argomento chiave come le riforme trascinerebbe con sé una perdita di credibilità su altri versanti. Uno scenario che il premier farà di tutto per evitare.