“La riforma del Senato va nella giusta direzione, ma rischia di fare saltare il sistema di pesi e contrappesi previsti dalla nostra Costituzione. Va quindi bilanciata con una correzione dell’Italicum e con una modifica all’attuale forma di governo”. Lo afferma il senatore Gaetano Quagliariello, coordinatore del Nuovo Centro Destra, nel momento in cui il dibattito a Palazzo Madama entra nel vivo. Come ha annunciato il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, “noi chiudiamo le riforme costituzionali, al massimo, entro 15 giorni. Il giorno dopo siamo pronti a discutere della legge elettorale”.



Senatore Quagliariello, come valuta il modo in cui si stanno mettendo le cose per quanto riguarda le riforme costituzionali?

Noi avevamo pensato a una riforma costituzionale organica, nella quale quella del Senato si legasse a quella del Titolo V. Avevamo previsto una serie di contrappesi derivanti dal mutamento del bicameralismo, in quanto la Costituzione è un tutt’uno composto da pesi e contrappesi. Per questo avevamo previsto un comitato dei 40 che potesse trattare tutto insieme: Senato, Titolo V, forma di governo, legge elettorale.



Perché a distanza di 13 anni è stato necessario intervenire di nuovo sul Titolo V?

Con quella riforma devolvemmo alle Regioni compiti legislativi importantissimi, che non sono previsti neanche dai Lander tedeschi o dagli Stati federali canadesi. Ci dimenticammo però di creare una camera in cui i rappresentanti delle Regioni o dello Stato potessero confrontarsi, in modo da non creare conflittualità. Il risultato è stato che in questi anni in moltissime occasioni si è creato conflitto, e in tante circostanze a legiferare non sono stati né lo Stato né le Regioni bensì la Corte costituzionale. Ciò ha tolto certezza al diritto, cioè una delle premesse fondamentali dello sviluppo, perché dove non c’è certezza del diritto non c’è investimento.



In che senso le riforme del Senato e del Titolo V si completano a vicenda?

Nella commissione dei saggi avevamo pensato al Senato come al luogo in cui i rappresentanti delle Regioni facessero gli interessi delle autonomie territoriali nel procedimento legislativo collegato con una riforma del Titolo V, per la quale si stabilissero confini più netti tra ciò che spetta allo Stato e ciò che spetta alle Regioni. Questa impostazione era stata messa in dubbio dal primo testo del governo, dove c’era un numero ingiustificabile di sindaci, dove le Regioni erano rappresentate in modo paritario, e dove c’erano 21 nominati dal presidente della Repubblica. Ora siamo tornati all’interno del solco della commissione dei saggi, e ciò è molto positivo anche se sono necessari ancora alcuni ritocchi, perché non ci può essere bicameralismo perfetto per quanto riguarda la legge di bilancio e la finanziaria. Ma esiste anche un problema più sostanziale…

A che cosa si riferisce?

Il problema è che questo bicameralismo fa saltare il sistema generale di pesi e contrappesi. L’equilibrio, però, non può essere ricercato impedendo la riforma del bicameralismo, bensì modificando altre parti del sistema, in particolare la forma di governo e la legge elettorale. Se abbiamo un Senato selezionato attraverso elezioni di secondo grado, non possiamo avere una legge elettorale che con il 37% dà la maggioranza assoluta. La quota del 37% è troppo bassa perché si rischia di creare una deriva troppo favorevole alla maggioranza. E soprattutto non possiamo avere una camera di secondo grado e un’altra di nominati. Quelle parti vanno quindi riviste. Un’elezione diretta del presidente della Repubblica, in questo nuovo assetto dei poteri, potrebbe essere preferibile rispetto a una platea molto ristretta nella quale chi vince le elezioni poi rischia di prendersi anche il capo dello Stato.

 

Quindi è d’accordo con il ministro Boschi, secondo cui dopo la riforma del Senato si discuterà di presidenzialismo?

Quello tracciato dal ministro Boschi è un disegno coerente. Poiché però Forza Italia ha fatto fallire il comitato, noi ora dobbiamo fare le riforme a pezzi. Per questo è ancora più importante avere una visione d’insieme, e utilizzare tutta questa legislatura per fare le riforme.

 

Quanto siete disposti a dare battaglia sulle preferenze?

Siamo disposti a dare battaglia fino in fondo perché oggi le preferenze sono più importanti di ieri. Non sono particolarmente amante delle preferenze, perché comprendo che hanno delle controindicazioni. Non comprendo però perché le preferenze vadano bene per Parlamento Ue, Regionali e Comuni, e non vadano bene solo per la Camera dei deputati. Inoltre non è pensabile che una camera sia eletta al secondo grado e l’altra sia di nominati. La rappresentanza ha i suoi diritti, e lo affermo pur tenendoci tantissimo alla governabilità.

 

Pur di avere le preferenze siete pronti a dialogare con Grillo?

Le riforme si fanno con tutti, e se il M5S dice delle cose esatte non ci tireremo certo indietro perché le ha dette il M5S. Anche un orologio rotto segna l’ora esatta due volte al giorno. Sulle preferenze e sul fatto che la legge elettorale deve incominciare dai partiti e non invece dalle coalizioni, le nostre posizioni sono molto simili a quelle del M5S.

 

(Pietro Vernizzi)

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