“Non sfugge a nessuno di noi il rilievo e la portata modificativa di questa riforma. Senza dubbio la più significativa dall’inizio della storia repubblicana per quello che riguarda il Parlamento. A nessuno di noi sfugge la responsabilità che stiamo assumendo nel ridefinire, così profondamente, l’assetto costituzionale”. Sono le parole con cui Anna Finocchiaro, relatrice della riforma del Senato, ha presentato in aula il disegno di legge costituzionale. Mentre il senatore del Pd, Vannino Chiti, le ha risposto: “Non esiste una democrazia senza cittadini. Compito nostro dovrebbe essere non chiuderla in piccole stanze di addetti ai lavori”. Stefano Fassina, sempre del Pd, ha scritto un messaggino a Matteo Renzi: “Il governo dovrebbe ascoltare le valutazioni del senatore Chiti e di altri senatori del Pd” perché la riforma “è insostenibile in termini di rappresentanza e partecipazione dei cittadini”. Ne abbiamo parlato con Marilisa D’Amico, docente di Diritto costituzionale all’Università degli Studi di Milano.



Professoressa D’Amico, come valuta le riforme costituzionali portate avanti dal governo Renzi?

Quella del Senato è una riforma specifica sul bicameralismo perfetto rispetto a cui da 30 anni si è convinti di dover operare una trasformazione. A ciò si unisce una revisione del Titolo V della Costituzione negli aspetti che più avevano bloccato il funzionamento della nostra macchina amministrativa. Nel complesso la potremmo definire “una riforma di manutenzione” che dovrebbe servire a fare funzionare meglio il Parlamento e anche il rapporto tra Stato e Regioni, trasformando comunque il Senato in una camera delle autonomie. Ci sono alcuni aspetti specifici su cui sono stata critica, ma che sono stati in parte corretti. Questo è il primo passo in cui si dimostra che siamo capaci di operare dei cambiamenti strutturali.



Riforma del Senato e Italicum rischiano di ridurre gli spazi di democrazia?

L’elezione del presidente della Repubblica e dei giudici costituzionali sono competenze che rimangono a entrambe le camere. L’impostazione del rapporto fra riforma costituzionale e Italicum come avvio verso una dittatura mi sembra veramente una lettura eccessiva. Bisognerà fare in modo che ci sia una legge elettorale che rispetti le indicazioni fornite dalla Corte costituzionale. Per la Consulta è necessario un equilibrio tra la governabilità e la rappresentatività. C’è solamente da augurarsi che ci sia un sistema che garantisca efficienza e governabilità meglio di come è stato fatto finora, perché è l’unico modo per fare sì che il Parlamento ritorni a essere centrale.



In che modo è possibile realizzare questo equilibrio?

Premi senza limiti come il Porcellum non possono essere ammessi. Lo dico francamente, non sono “innamorata” dell’Italicum, preferirei ritornare al Mattarellum. Occorre una legge elettorale che segua comunque i principi della Corte costituzionale, e che quindi non annulli con un premio eccessivo e con la cooptazione il principio essenziale della rappresentanza. Detto questo la riforma costituzionale introduce una serie di principi importanti.

 

Quali?

Nei regolamenti parlamentari occorrerà prevedere lo statuto dell’opposizione. Nel Parlamento britannico per esempio c’è il capo di un partito che vince e che governa, ma nello stesso tempo sono previste delle garanzie per l’opposizione.

 

Ma non c’è il rischio che le riforme riducano la possibilità dei cittadini di dire la loro?

A risposta di chi dice che le riforme del governo Renzi ridurrebbero gli spazi di democrazia, si può osservare che il nuovo Senato inserisce in Costituzione delle norme che limitano il ricorso ai decreti-legge, creando una corsia preferenziale per le leggi di iniziativa governativa. Nello stesso tempo il Parlamento tornerà a essere più efficiente, grazie al fatto che ci sarà una sola camera provvista sostanzialmente di funzione legislativa.

 

In che modo le due riforme, Senato e Titolo V, possono essere migliorate?

L’aspetto che non mi convince tanto della riforma del Senato è il fatto di trasformarlo in una camera delle autonomie, senza però affidargli una competenza più incisiva sulle leggi che riguardano le regioni. Non condivido inoltre il fatto che la riforma del Titolo V continui a lasciare fuori le regioni a statuto speciale, facendo sì che continui a esserci sempre una doppia velocità.

 

(Pietro Vernizzi)