Il 6,2 per cento alle europee era andato oltre le più rosse previsioni e aveva acceso tante speranze. Davanti a loro i leghisti vedevano un’autostrada che portava dritta verso l’egemonia nel centrodestra. Un leader che piace non solo al Nord, ma anche al Sud, l’unico capace di guadagnare voti al proprio partito, oltre allo strabordante Renzi.
Il Matteo giusto (così lo chiamano i suoi fedelissimi) ha deciso di battere il ferro finché è caldo, insistendo davanti alla evidente crisi di Forza Italia e alle difficoltà degli altri partner di centro destra, l’ansimante Nuovo Centrodestra di Alfano e i Fratelli d’Italia della Meloni che non riesce mai a decollare sul serio.
Quando ha scelto luogo e data del congresso straordinario lo stato maggiore leghista non si è mosso a casaccio. Padova è la nuova città simbolo, dopo l’insperata vittoria di Bitonci alle amministrative, la giornata cade due giorni dopo l’annunciatissima sentenza d’appello sul processo Ruby. Niente di meglio per lanciare una sorta di Opa, di offerta pubblica d’acquisto sul centrodestra, una leadership giovane e forte e un programma tutto concentrato su no euro, lavoro e lotta contro l’immigrazione clandestina.
All’indomani dell’assoluzione di Berlusconi tutto il centrodestra ha dovuto rivedere calcoli fatti forse un po’ troppo frettolosamente, Salvini compreso. Come Alfano, come Quagliariello, come la Meloni, come Fitto, come Cesa, ha dovuto prendere atto che Berlusconi rimane ancora il cardine del centrodestra, perché la sentenza gli restituisce un’ampia legittimazione politica. Non totale, perché le pendenze giudiziarie sono ancora numerose (Bari, Napoli, Roma), ma certo l’accusa più infamante è venuta meno, e l’ex Cavaliere è ancora in campo, leader della principale formazione del centrodestra.
A Padova è andata in scena un’abile virata politica che consente alla Lega di spostarsi un po’ più avanti e mantenere intatto il proprio ruolo di opposizione dura al governo Renzi. Anzi, è proprio il tono da scontro totale usato nei confronti del premier a diversificare la Lega salviniana dal resto del centro destra.
Antidemocratico, marionetta di Berlino e dei poteri forti politico-finanziari, a cominciare da De Benedetti: Salvini non ha risparmiato nulla all’azione di governo. Probabile che ne consegua anche un irrigidimento nel dibattito sulle riforme costituzionali (dove pure Calderoli sta giocando un ruolo decisivo), e un voto contrario in Senato. Di sicuro saranno barricate sulla legge elettorale, dal momento che l’Italicum già non piaceva affatto.
Lega sulle barricate a Roma, anche per segnare la differenza con il resto del centrodestra. Su questo punto Salvini è stato tranchant, spiegando che le alleanze non si possono decidere sulla base delle sentenze. Anzi, ha adombrato il sospetto che le sentenze favorevoli arrivino solo per chi dice sì alla sinistra.
Serve ben altro, secondo il Salvini pensiero, servono delle convergenze programmatiche che oggi non s’intravedono neppure lontanamente. Segue elenco impietoso: la Lega non ha nulla da spartire con chi si iscrive all’Arcigay (Pascale e Feltri), né con chi in Europa aderisce allo stesso partito della Merkel (Forza Italia, Ncd e Udc), e neppure con chi (Alfano, ministro dell’Interno) non è in grado di porre un freno all’ondata migratoria che si sta abbattendo sulle nostre coste.
Meglio soli che male accompagnati, meglio irrilevanti con un sacco di voti (risposta alla critica venuta da Toti) che imbrigliati in una coalizione debole e incapace di opporsi al renzismo, definito l’anticamera della dittatura. Meglio alzare i toni e annunciare per novembre la serrata fiscale dei ceti produttivi, e garantirsi le luci della ribalta per l’autunno.
Di fatto Salvini sposta molto più avanti nel tempo la prospettiva della ricomposizione dell’area moderata, dal momento che le elezioni non sono alle porte e condurre oggi quella battaglia non sarebbe in alcun modo conveniente.
Facendo buon viso a cattivo gioco, il segretario leghista ha ottenuto l’effetto di ricompattare il Carroccio, dove in molti già lo stavano mettendo sotto accusa per le sue frequenti scorribande al Sud. Dal palco ha chiarito che la priorità rimane sempre il Nord, ma che se qualche movimento, nazionale o del centro sud, volesse condividere le stesse battaglie, sarebbe il benvenuto.
Altro effetto collaterale è stato il rinvio del nodo di chi potrebbe essere il candidato leghista alle primarie del centrodestra, se lo stesso Salvini, oppure il veronese Tosi. Non essendo il momento di decidere, i due hanno potuto abbracciarsi sul palco, per la felicità dei fotografi.
C’è però una leva che la Lega potrebbe utilizzare: i due governatori, Zaia e Maroni. Due almeno i colpi che potrebbero essere sferrati verso Roma. Il primo è il netto rifiuto di spendere soldi delle regioni Veneto e Lombardia per l’accoglienza degli immigrati. Il secondo e forse più rilevante colpo in canna è il referendum veneto per l’indipendenza, cui potrebbe fare eco una consultazione lombarda a favore di uno statuto autonomo per la prima regione italiana. A Venezia la legge per indire la consultazione referendaria c’è già, e quella potrebbe essere l’arma segreta di Salvini e della sua Lega sempre più di lotta.