La maratona del Senato sulle riforme costituzionali prosegue a colpi di slogan, ma intanto la maggioranza ha incassato i primi risultati. L’aula ha bocciato l’emendamento di Augusto Minzolini (Forza Italia), che proponeva l’elezione diretta dei senatori e il mantenimento del bicameralismo perfetto. Nello stesso tempo la giunta del Senato ha dato ragione al presidente Piero Grasso sul cosiddetto “canguro”, in base a cui se un emendamento è bocciato si eliminano automaticamente anche tutti quelli simili. Ne abbiamo parlato con Alessandro Mangia, professore di Diritto costituzionale all’Università Cattolica di Piacenza.



La pioggia di emendamenti finirà per fare affondare Renzi nella palude parlamentare?

Personalmente reputo del tutto normale la pioggia di emendamenti da parte dell’opposizione, così come penso sia normale che, in una assemblea elettiva, la presidenza utilizzi tutti gli strumenti a disposizione per limitare gli spazi di questo ostruzionismo. E’ la fisiologia dei lavori parlamentari a far funzionare le cose in questo modo. A essere singolare, semmai, è che sia il governo a farsi promotore di una riforma di questa portata e non lo siano i partiti o i gruppi parlamentari della maggioranza. E ad essere singolare è la pervicacia con cui il governo vuole portare avanti una riforma verso la quale non c’è un consenso generalizzato. Un tempo si diceva che le riforme costituzionali dovevano avere il consenso di maggioranza e opposizione. Oggi – ostruzionismo a parte – non si capisce più dove sia la maggioranza e dove sia l’opposizione. Le opposizioni più forti a questa riforma sono all’interno della maggioranza. Segno che gli schemi sono saltati. E se sono saltati questi schemi sono saltate anche le convenzioni che hanno accompagnato il funzionamento della costituzione del 1948.



Lei quindi ritiene che lo scenario cui stiamo assistendo non debba preoccuparci?

Non dovrebbe preoccuparci, se non ci fosse una serie di elementi che complicano il quadro. In primo luogo il fatto che nella situazione attuale riforma elettorale e costituzionale sono state progettate insieme. Quindi è normale che le resistenze nei confronti della legge elettorale si scarichino sulla riforma costituzionale e viceversa. Chi è contro le soglie di sbarramento troppo alte è anche contro la riforma costituzionale. E chi è contro un senato fatto di consiglieri regionali è anche contro il premio di maggioranza. E’ tutto terribilmente confuso e pasticciato. Ma, paradossalmente, non è questo il problema principale.



Quali altri elementi complicano il quadro?

Ad essere preoccupante è il contesto complessivo in cui questa operazione si colloca. E che non emerge se si guarda solo al folklore parlamentare e alle sciabolate alla casta. Guardi, per andare sul concreto, entro il 20 settembre il governo dovrà presentare alle Camere la nota di aggiornamento al DEF (il Documento di Economia e Finanza), dove si scoprirà che gli scenari macroeconomici prospettati ad aprile – che erano tutti costruiti su una crescita dello 0. 8% – non si sono realizzati. Oggi tutti gli indicatori in mano alle strutture di monitoraggio, pubbliche o private, e che vanno dal FMI alla CGIA di Mestre, per passare da Confindustria a Bankitalia, ci dicono che, nel migliore dei casi, la crescita sarà dello 0,2-0,3%. A meno di eventi clamorosi, la nota non potrà che prenderne atto.

 

Quali saranno le conseguenze sul piano politico?

E’ evidente, che, visto che i calcoli erano basati su presupposti che non si sono realizzati, e visti i vincoli di finanza pubblica cui siamo assoggettati, ci dovrà essere una manovra correttiva, che qualcuno dice essere attorno ai 20 mld. Tenga presente che, un mese dopo la nota di settembre, entro il 15 ottobre il governo dovrà presentare i ddl. di stabilità e di bilancio sulla base di quei dati. E non li presenterà tanto alle Camere – questo ormai è un passaggio formale – quanto a Bruxelles, che ci dirà se siamo stati bravi con i compiti a casa oppure no. Il bilancio ormai lo approva Bruxelles, non il Parlamento. E dubito che Bruxelles farà i complimenti a noi o a Renzi. In questa scansione temporale se la riforma costituzionale sarà approvata in prima lettura entro l’estate, la seconda lettura si dovrà fare – vista la fretta del governo –da metà novembre in poi. Avremo quindi una riforma costituzionale da approvare in un contesto di crisi finanziaria in cui la pressione sui parlamentari e sull’opinione pubblica sarà tale da farci rimpiangere la crisi dello spread del novembre 2011. Altro che la modifica dell’art. 81 e del processo di bilancio che ne è venuta qualche mese dopo.

 

Se la riforma non passa in prima lettura entro agosto, andremo a elezioni anticipate?

Questo proprio non glielo so dire. Sulla stampa, più o meno informata, si legge anche questo. Ma si può leggere anche di governi tecnici per la manovra di autunno e di nuove elezioni a primavera. Non è questo il punto. Sono preoccupato per una revisione della Costituzione in ordine alla quale non c’è stato un grosso dibattito, né politico, né giornalistico, né scientifico; e che cambierà per sempre il nostro assetto istituzionale. Ma sono ancora più preoccupato per il quadro macroeconomico che si prospetta da settembre in poi e che già oggi sembra sufficientemente chiaro. Approvare una riforma costituzionale – e una legge elettorale fortemente maggioritaria – in una situazione del genere mi sembra un’eventualità che non avremmo neanche immaginato solo qualche anno fa.

 

Che cosa ne pensa del metodo scelto dal governo per approvare la riforma costituzionale?

 Francamente, guardando al metodo seguito e ai toni praticati, ho più l’impressione di assistere alla conversione di un decreto legge che alla prima lettura di una riforma che cambia l’assetto dei rapporti tra governo e parlamento. Questa riforma è figlia di una emergenza di cui oggi non tutti vedono i profili, ma che, evidentemente, è avvertita dal governo in modo pressante, tanto da spingerlo a prese di posizione paradossali. In teoria una riforma costituzionale, per essere tale, e non una riforma qualunque, dovrebbe essere una riforma condivisa e sedimentata innanzi tutto tra i cittadini, oltre che dalle forze politiche. Basta vedere cosa è successo nel 2006, quando c’è stato un referendum su una riforma non condivisa e subito dimenticata. E contro la quale c’era stata una mobilitazione sulla base di argomenti non troppo diversi da quelli usati oggi da chi fa ostruzionismo. Una riforma della costituzione portata avanti nei termini che vediamo in questi giorni ci fa capire che non ci troviamo in un momento normale, ma in una situazione di tipo emergenziale, che giustifica i toni da decreto legge usati dal governo. Penso che ce ne renderemo tutti conto in autunno, quando scopriremo che l’emergenza in arrivo non è una emergenza politica, ma sarà, fondamentalmente, una emergenza economica e finanziaria anche più violenta di quella del 2011. E dalla quale non ci salverà una riforma costituzionale approvata in prima lettura ad agosto, con o senza ghigliottine e canguri sui banchi.

(Pietro Vernizzi)