Se un giornale chiude i battenti, non c’è da esultare, come pare abbia fatto Grillo, convinto che la sua Echelon dominerà il mondo e non farà prigionieri. Ma è decisamente esagerato denunciare l’ennesimo attacco gravissimo alla democrazia e al pluralismo, come è stato agitato dal Direttore dell’Unità e da esponenti del PD, alla Bersani. 



Si tratta, infatti e in primo luogo, di una crisi aziendale. Quando un giornale scende alla tiratura di 20 mila copie al giorno, pur avendo un apparato giornalistico e tecnico da grande giornale, e pur disponendo di un notevole finanziamento pubblico, sopra i 3 milioni di euro, significa una cosa molto semplice: che i lettori se ne sono andati. Per quanti sforzi di ricapitalizzazione si possano tentare, per quanti soggetti economici nuovi possano entrare del Consiglio di Amministrazione, se viene a mancare la materia prima – quella dei lettori – non c’è scampo. 



Le accuse che vengono rivolte dal Direttore e dai giornalisti alla NIE (Nuova iniziativa editoriale) che ha gestito l’impresa, dimenticano che il loro prodotto non vende. Se poi a questo dato si aggiunge la sfida digitale, che la carta sta perdendo su scala mondiale, il fallimento è assicurato. Il Direttore e alcuni giornalisti hanno accusato il PD, proprietario di quote importanti, di ambiguità e di timidezza. Alcuni giornalisti hanno sottolineato che un’eventuale soluzione della crisi dovrebbe comunque tenere lontano il PD. Renzi ha risposto seccamente che se la proprietà fosse appartenuta al PD, il giornale non avrebbe chiuso. 



Dietro queste schermaglie, sta appunto la questione irrisolta: l’Unità giornale di quale sinistra? Crisi dell’Unità, crisi di quale sinistra? Perciò è alla faccia nascosta della crisi del giornale che bisogna guardare: quella culturale. L’Unità venne fondata come “giornale di sinistra” – dunque non organo di partito, quale era L’Avanti – il 12 febbraio 1924 da Antonio Gramsci, già all’inizio del fascismo, cui aveva contribuito indirettamente la frattura tra socialisti, comunisti e popolari. Donde l’Unità come testata e come programma. 

La prima chiusura del giornale avvenne l’8 novembre 1925. Il giornale era imputato di diffondere notizie atte a turbare l’ordine pubblico. Il regime fascista non poteva sopportare le accuse roventi, relative al delitto Matteotti, di cui Mussolini si era assunto la responsabilità politica e morale. Riprenderà a uscire in clandestinità a Lille, in Francia, dal 27 agosto 1927 fino al 1° luglio 1942, quando la clandestinità si trasferirà in Italia. Il 2 gennaio 1945 tornò in edicola, arrivando negli anni d’oro fino a un milione di copie al giorno, diffuse attraverso una rete capillare di migliaia di militanti, che passavano di casa in casa. 

Fino agli anni ’70 il PCI, di cui L’Unità era diventata organo – e lo sarà fino al 1997, anche quando il PCI cambierà nome – arrivava fino a un milione e mezzo di iscritti. Ma già nel ’97 le copie erano scese a 90mila. Nel luglio 2000 precipitano a 28mila, tanto che il giornale è costretto a chiudere per riaprire nel marzo del 2001. Il passaggio dal monopolio proprietario del partito alla costituzione di una società editoriale, in cui di volta in volta entrano azionisti diversi, è stato solo la conseguenza di un crescente distacco tra le dinamiche e le metamorfosi della sinistra tradizionale e il giornale stesso, sempre di più arroccato sulle posizioni di una sinistra comunista tradizionale, non radicale, ma pur sempre ancorata alla “ditta” bersaniana.

 La sinistra civica, girotondina, giustizialista ha cercato altre strade e altre testate. Quella riformista anche. I lettori si sono dispersi. La sinistra di Renzi, socialista-liberale, con forti connotazioni cattolico-democratiche, ha generato un tipo di lettore che non si riconosce più nell’asse tradizionale socialdemocratico statalista e conservatore, di cui Bersani e D’Alema sono stati i corifei in questi anni, usciti sonoramente sconfitti dall’OPA vittoriosa di Renzi sul PD.  Su quell’asse conservatore l’Unità di Concita di Gregorio si è attestata dall’agosto del 2008. E su quest’asse è morta. 

Oltre all’identità, ancora in formazione, di una nuova sinistra, è cambiata la forma-partito, si è imposta la Rete, che ha deciso – vedi proprio il caso del PD oltre a quello più noto del M5S – la gerarchia delle candidature alle ultime elezioni politiche e perciò la quota di consensi elettorali. In questo contesto, in cui le istituzioni politiche sono in fibrillazione, la legge elettorale in via di cambiamento, i partiti liquefatti, quale è l’idea che il Direttore dell’Unità e i suoi giornalisti hanno della sinistra? E’ buio pesto conservatore. I lettori/elettori lo hanno capito da tempo. Ed hanno praticato un’anonima, ma spietata strategia dell’exit.