Si sono guardati negli occhi, si sono capiti. Due ore faccia a faccia a Palazzo Chigi giovedì per dirsi sin dove può spingersi il loro dialogo. E il percorso delle riforme ha ritrovato slancio. Fra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi alcune analogie e tante differenze. È indubbio che in questa fase hanno bisogno l’uno dell’altro, il premier per garantire una maggioranza ampia alle sue riforme, l’ex premier per non perdere la scena, per mantenere una minimo di legittimazione politica da protagonista.



L’altra grande analogia fra i due è che entrambi debbono fare i conti con la fronda interna ai rispettivi partiti, fronda consistente e che probabilmente riusciranno entrambi a domare. Ma – e qui cominciano le differenze – fra i due di gran lunga è l’ex Cavaliere ad apparire il più debole.

È vero che senza di lui Forza Italia è ben poca cosa, come si è visto nella campagna elettorale per le recenti elezioni europee. Ma è anche vero che il fuoco cova sotto la cenere, e ogni tanto le vampate sono chiaramente visibili dall’esterno. Fibrillazioni che fanno dubitare sulla tenuta di medio-lungo periodo della formazione azzurra. Si assommano le ambizioni personali alla Fitto, i mal di pancia dei Minzolini o dei Brunetta, anche se quando parla Berlusconi la sua parola vale per tutti, come ha ricordato Rotondi. Per ora, almeno.



Minzolini racconta che Berlusconi gli avrebbe detto che in questa fase sarebbe sbagliato forzare sui toni, e forse dietro le parole dell’ex direttore del Tg1 si può intravedere una trattativa con Renzi non del tutto andata in porto. Anzitutto è stato lo stesso Berlusconi a sottolineare come il dialogo con Renzi sia limitato alle riforme costituzionali ed alla legge elettorale, mentre rimangono inalterate le distanze in materia di politica economica e di giustizia.

Forse il vero oggetto del colloquio di Palazzo Chigi è stato proprio la volontà dello stesso Berlusconi di andare più in là. Secondo alcune voci di corridoio, sul piatto sarebbero stati messi altri temi caldi. Ci sarebbe il riassetto del sistema delle telecomunicazioni, che interessa il cuore dell’impero berlusconiano. Un assetto tutto da discutere nel momento in cui è chiara la volontà di Renzi di depotenziare la Rai. E gli endorsement filorenziani del partito Mediaset non si contano, ultimo in ordine di tempo (e forse primo per importanza) quello dello stesso Piersilvio Berlusconi, che si è dichiarato tifoso di Renzi e delle sue riforme.



Berlusconi avrebbe chiesto garanzie anche sulle imminenti nomine di indicazione parlamentare per il Consiglio superiore della magistratura e per la Corte costituzionale. E in materia di giustizia è stata sondata la reale intenzione del premier di procedere sulla via della responsabilità civile dei giudici, vecchio cavallo di battaglia di Berlusconi. Ogni scelta su Palazzo dei Marescialli, ad esempio, può avere effetto sulle future nomine a capo dei vari uffici giudiziari. E in scadenza ve ne sono parecchi, anche per via dell’abbassamento dell’età pensionabile delle toghe. 

Chi lo ha visto all’uscita da Palazzo Chigi lo ha trovato rabbuiato, di sicuro non del tutto soddisfatto, come se non tutte le rassicurazioni richieste fossero arrivate. Ma il filo del dialogo non si è spezzato, al punto che quella sera stessa Berlusconi ha riparlato con Renzi attraverso il cellulare di Verdini per rassicurarlo che la tempesta nell’assemblea dei gruppi parlamentari azzurri era solo passeggera, che le riforme non erano in discussione.

A Renzi per il momento questo basta, mentre le trattative sugli altri dossier proseguono attraverso i soliti ambasciatori. Del resto, anche lui qualche grattacapo ce l’ha. Soprattutto non si aspettava la discesa in campo del suo predecessore Bersani a sostegno delle critiche alle riforme avanzate da Chiti e Cuperlo. La risposta è stata affidata non solo ai soliti Guerini e Serracchiani, ma soprattutto al neo presidente del Pd Orfini, ex “giovane turco”, ex dalemiano, ex sostenitore dello stesso Bersani. Qui la partita è facile: la legittimazione del 40,8 per cento dei voti alle europee conferisce al premier-segretario una forza tale da marginalizzare ogni opposizione interna, attirando per di più spezzoni di Sel (Gennaro Migliore) e di Scelta Civica (o quel che ne rimane) nell’orbita democratica. Realisticamente Renzi dovrà commettere molti errori e molti passi falsi prima che una significativa opposizione interna riesca a coagularsi e a impensierirlo.