Palazzo Madama ha approvato in prima lettura la riforma del Senato. Per il governo è presto per cantare vittoria, in quanto per il varo definitivo della legge costituzionale saranno ancora necessarie tre votazioni parlamentari e con ogni probabilità anche un referendum. La riforma però emerge già con alcune caratteristiche chiare: la fine del bicameralismo perfetto, l’elezione indiretta dei nuovi senatori, l’immunità parlamentare e la fine delle indennità da 14mila euro. Ne abbiamo parlato con Augusto Barbera, professore di Diritto costituzionale all’Università di Bologna e già vicepresidente della commissione per le Riforme costituzionali.



Come valuta nel complesso la riforma che esce da Palazzo Madama?

E’ quanto si era perseguito negli ultimi 30 anni e non c’è nulla di improvvisato come ha detto qualcuno. Il testo approvato corrisponde in larga parte alle proposte della commissione dei saggi. L’idea di una seconda camera che fosse espressione delle Regioni era stata posta addirittura nell’Assemblea Costituente nel 1946-1947. Ci sono punti che meritano di essere corretti, ma complessivamente il mio giudizio è molto positivo.



Che cosa ne pensa dell’equilibrio trovato tra Stato e Regioni?

Con la riforma del 2001 c’era stato un eccesso di trasferimenti di poteri alle Regioni, che ormai nessuno difendeva più. Il nuovo testo compie una doppia operazione. Da un lato riporta al centro alcune competenze, come la produzione e distribuzione nazionale dell’energia. Dall’altra pur riconoscendo competenze assai significative alle Regioni, prevede la cosiddetta “clausola di supremazia”: per la tutela degli interessi nazionali la legge dello Stato prevale su quella regionale, come accade del resto in tutti gli Stati autenticamente federali.



Lei è a favore dell’elettività di secondo grado del Senato?

Se il Senato deve essere uno strumento di raccordo tra le funzioni legislative delle Regioni e quelle dello Stato, ritengo che l’elettività di secondo grado sia una buona soluzione, anzi l’unica possibile . Le Regioni perdono potere rispetto alla riforma del 2001, ma hanno la possibilità di concorrere alla legislazione nazionale attraverso il Senato. I consiglieri regionali sono le persone più qualificate a farlo.

Se i senatori fossero eletti direttamente, chi avrebbero rappresentato?

Con l’elettività di secondo grado rappresentano le Regioni.Se fossero eletti direttamente avrebbero rappresentato solo gli orientamenti politici degli elettori, ma questo è compito che spetta alla Camera. E poi se eletti direttamente avrebbero preteso , giustamente, poteri decisionali facendo riemergere forme di bicameralismo paritario. Il Senato invece può solo votare proposte ed emendamenti ma solo la Camera ha l’ultima parola , quella decisiva , come tutte le seconde Camere in Europa.

Ritiene che ora l’Italicum vada modificato abolendo le liste bloccate?

Questo è un problema che va discusso a parte rispetto alla riforma del Senato, in quanto l’Italicum è la legge elettorale della Camera. E’ una questione che va affrontata in quella sede, e lì le soluzioni possibili saranno diverse. Sarebbe stato sbagliato però discuterne nel contesto della riforma del Senato. Va affrontato adottando soluzioni che possono essere le preferenze, i collegi uninominali o le liste bloccate corte o, come in Germania , metà eletti in collegi uninominale e metà in liste bloccate. Io continuo ad essere diffidente nei confronti delle “preferenze”: non ne ho un buon ricordo e non a caso sono rifiutate dalle principali democrazie occidentali.

Una volta approvata la riforma del Senato si andrà a elezioni anticipate?

E’ presto per dirlo, perché siamo ancora alla prima lettura al Senato. Nella migliore delle ipotesi si potrà iniziare la discussione alla Camera ai primi di novembre, perché ci sono dei tempi tecnici. Poi ci sarà la seconda lettura al Senato e di nuovo alla Camera, a distanza di non meno di tre mesi. Quindi si terrà il referendum, che ormai è dato per certo sia nel caso in cui ci sarà una maggioranza dei due terzi sia nel caso in cui non la si raggiungerà. Per il momento non vedo quindi il pericolo di elezioni anticipate. Renzi ha bisogno dei “mille giorni” almeno.

(Pietro Vernizzi)