Il nostro Paese “non ha bisogno di qualcuno che le spieghi cosa fare”, né tantomeno di “spinte da Bruxelles” o dal terzetto Ue-Fmi-Bce. E’ la dura risposta del presidente del Consiglio, Matteo Renzi, al presidente della Bce, Mario Draghi, il quale aveva raccomandato all’Italia di creare le condizioni per la crescita con riforme strutturali. Renzi però, intervistato dal Financial Times, ha spiegato che sono “gli Stati a dover indicare alla Commissione via e ricette per venire fuori dalle secche”, e non il contrario come vorrebbe fare intendere Draghi. Abbiamo chiesto un commento a Oscar Giannino, giornalista economico.
Che cosa ne pensa di quanto dichiarato dal premier Renzi al Financial Times?
Gran parte della forza rivendicata giustamente in Europa da parte di Renzi si fonda sul fatto che il Pd è il partito che il 25 maggio scorso ha portato a casa il più importante successo, tenendo alta la guardia contro i toni di demagogia anti-europeista. E’ proprio per questo che non comprendo la risposta così aspra da parte di Renzi a Draghi. Il Pd è fautore di una tesi europeista, contro chi dice che il problema sarebbe il rigore, l’austerità imposta dai tedeschi, o il fatto che l’euro comunque non può funzionare. Sarebbe quindi più comprensibile prendere l’appello di Draghi nel tono più giusto, e cioè non liquidarlo brutalmente, come mi sembra che sia nei modi e nei contenuti di Renzi.
Vuole dire che Renzi deve rinunciare a negoziare le condizioni europee?
Ciò che sto dicendo è esattamente il contrario. Un partito europeista come il Pd deve essere per natura favorevole a cessioni progressive di sovranità. Può quindi essere una carta da portare nel negoziato europeo. Renzi al contrario avrebbe dovuto dire che, proprio perché l’Italia vuole accelerare le riforme, siamo pronti a cessioni di sovranità che mettiamo sul piatto in cambio del fatto che a quel punto inseriamo dei meccanismi più cooperativi rispetto a quelli che abbiamo oggi. Altrimenti la posizione di Renzi rischia di identificarsi con quella antieuropeista di Lega nord e M5S.
Davvero Renzi in questa circostanza si è comportato come Grillo?
Renzi ha trattato Draghi come Cottarelli, cioè come un tecnico, o un politico non eletto che dovrebbe stare buono e non parlare. Il presidente della Bce però non è soltanto un burocrate come vorrebbe farci credere Renzi, e nei temi politici ci deve entrare per forza.
Come vede nel frattempo lo sfondo politico? Renzi è più forte o più debole, e fino a che punto l’Europa può minarne credibilità e consenso?
L’Europa come si vede nei sondaggi tra gli italiani ha perso molto appeal. E’ l’andamento reale dell’economia la vera spina nel fianco di Renzi. Una spina che al momenti non sanguina ancora, ma che rischia di sanguinare molto presto. Di fronte a una persistente tendenza dell’economia a stagnazione e deflazione, non credo che il consenso di Renzi resterà intatto. Il premier lo sa perfettamente, e questo è il suo primo punto debole.
Moody’s ha rivisto al ribasso le stime sul Pil dell’Italia nel 2014. E’ un’altra “mina” politica?
No, quella di Moody’s è soltanto l’ennesima delle modifiche al ribasso che sono venute nel tempo dai maggiori fori internazionali. Quindi non ci trovo nulla di particolarmente significativo né di allarmante. E’ un fatto che i numeri a seconda dei diversi modelli econometrici allo stato non delineano un rimbalzo molto consistente nella dinamica del Pil. La domanda interna non sta particolarmente bene, anche perché a essere cambiato è il contributo alla crescita della domanda estera. Quest’ultima è infatti in flessione per le crisi internazionali.
Si è parlato del fatto che la luna di miele tra Renzi e gli italiani è durata un po’ più del normale, ma prima o poi è destinata a terminare. Lei che cosa ne pensa?
Tutto dipende dai risultati del governo, da questo punto di vista non esistono leggi immutabili. Il sostegno di cui gode Renzi in questo momento deriva dal fatto che ha ampliato la platea del Pd in maniera significativa. Ciò fa sì che il consenso a Renzi sia molto più ampio di quello di cui gode il Pd, estendendosi in aree in cui il principale partito di centrosinistra negli ultimi 20 anni non si era mai radicato. Lo documentano la buona performance del Pd al Nord, il prosciugamento del bacino di Scelta civica e il risultato striminzito di Ncd. Renzi gode ancora di ciò non da ultimo per una mancanza di alternative. Ciò che ci aspetta dipenderà però da come andrà l’economia. La fiducia in Renzi non è ancora stata intaccata, ma potrebbe decadere anche molto rapidamente se l’anno sì chiuderà con una prospettiva come quella delineata da Moody’s.
(Pietro Vernizzi)