Ieri si è saputo di un incontro tra Matteo Renzi e il presidente della Bce Mario Draghi. Un faccia a faccia che si è probabilmente reso necessario dopo la piccata risposta del premier al Financial Times (“il nostro paese non ha bisogno di qualcuno che gli spieghi cosa fare”) seguita alle parole di Draghi di settimana scorsa. Il banchiere centrale aveva esortato l’Italia a “condividere la sovranità anche per quanto riguarda le riforme strutturali”, dando anche una valutazione molto severa, all’indirizzo del nostro paese, sulla capacità di fare davvero le riforme che servono. A Bruxelles sono preoccupati e non lo nascondono, al punto che sono circolate voci su una procedura, già pronta nel cassetto, contro l’eventuale infrazione da parte italiana delle regole Ue. Ed è certo che anche di questo Renzi ha parlato, nell’incontro svoltosi a Castel Porziano, con il capo dello Stato Giorgio Napolitano. Insomma, ce n’è abbastanza per evocare lo spettro della lettera del 2011 con la quale iniziò la crisi che da lì a tre mesi avrebbe scalzato da Palazzo Chigi Silvio Berlusconi. Ecco l’opinione del costituzionalista Alessandro Mangia.



Professore, “sovranità” è la parola del momento. Che cosa sta accadendo?
Era chiaro da qualche settimana che la previsione sul Pil (+0,8 per cento a fine 2014) contenuta nel Documento di economia e finanza era irrealizzabile e puntualmente è stata smentita. Quello che invece non è ancora chiaro è che ormai la legge di stabilità e i conti pubblici non sono più un affare tra governo e parlamento. Lo sono soltanto da un punto di vista formale. 



Perché il Def dobbiamo mandarlo a Bruxelles, che attiva le procedure di monitoraggio e controllo dei conti pubblici.
Il Def è la base per la bozza di legge di stabilità da presentare entro il 15 ottobre. Su quella base arrivano puntualmente le raccomandazioni della Commissione o l’allerta della Bce e su quella base si deve procedere, da parte dell’autorità politica nazionale, ad approvare un ddl di stabilità conforme ai vincoli comunitari. Adesso siamo in una fase preliminare alla presentazione del Def e al ddl stabilità. Ma è chiaro che se questi documenti non sono in linea con le aspettative di Bruxelles, ripartono le procedure di infrazione.



Le parole di Renzi a proposito di Draghi (“sono d’accordo con lui dalla A alla Z”) sanno di retromarcia, o quanto meno di allineamento a Francoforte. Ieri Renzi ne ha certamente parlato anche con Napolitano. Abbiamo le mani legate?
Stante il rafforzamento dei meccanismi di controllo preventivo sui deficit pubblici che è si è avuto negli ultimi anni, un grande margine di manovra non c’è. A meno di iniziative clamorose che non mi sembra siano all’orizzonte. Viene semplicemente a galla ciò che si sapeva. Come ha bene rilevato Antonio Polito nel suo editoriale di ieri sul Corriere, oggi la misura della sovranità di una nazione è data dall’ammontare del suo debito pubblico e dal tasso di interesse che i mercati richiedono per finanziare questo debito.

Siamo ancora un paese sovrano?

Che la sovranità sia in crisi perché non si sa più che cosa sia, in ambito scientifico era noto; ma che compaiano sui giornali affermazioni così, a distanza di qualche giorno dalle dichiarazioni di Draghi, è qualcosa che dovrebbe far riflettere. L’euro ci ha dato tanti vantaggi. Ma ha anche trasformato il debito pubblico di uno stato nel debito privato di una collettività. È questo che non si è capito ancora.

Si potrebbe dire che la sovranità non è più come in passato un concetto rigido, ma plastico. 
Il concetto di sovranità non è mai stato rigido, perché non può esserlo. Però quando ci si trova di fronte alla domanda “chi decide?” il tema della sovranità riemerge e si presenta nelle sue forme di sempre. È significativo che il discorso di Draghi sulla devoluzione di poteri sovrani abbia riproposto il problema. È che lo stesso Draghi utilizzi categorie vecchie per alludere ad una situazione del tutto nuova. 

In che senso?
I poteri sovrani possono essere devoluti ad un altro soggetto ed è normale che questo avvenga, basta pensare alle federazioni. Ma il soggetto a cui si devolvono funzioni sovrane non può che essere a sua volta un soggetto sovrano. Se invece, nel momento in cui si chiede all’Italia di devolvere ulteriori poteri per fare riforme che non si fanno, non c’è un soggetto sovrano che esercita queste funzioni, la questione diviene tanto inedita quanto delicata.

Scusi, ha detto proprio “non c’è un soggetto sovrano”?
Draghi dice che questi poteri dovrebbero essere devoluti. Però credo che lo stesso Draghi non sappia a chi si dovrebbero devolvere oggi questi poteri. Chi potrebbe riceverli? La Troika (Fmi, Commissione, Bce) del Trattato Mes? Il punto è che se il soggetto che riceve questi poteri non è identificabile, non è nemmeno controllabile. E se non è controllabile non è nemmeno responsabile da un punto di vista democratico. È questo lo spaventoso problema dell’Europa. Ed è questa la sua spaventosa debolezza, come sa benissimo chi opera all’interno di queste istituzioni.

Polito scrive che la nostra sovranità non è limitata tanto da Bruxelles, quanto dal nostro debito. È così?
Non è più vera una cosa dell’altra. E nemmeno è più consolante dire che la nostra sovranità, e dunque la nostra libertà, dipende solo dal debito. Sono due facce della stessa medaglia. Ormai diciamo “Bruxelles”, ma non sappiamo di chi stiamo parlando. Bruxelles è solo un luogo del Belgio. Di chi parliamo? Della Commissione, forse, ma solo fino a quando da Francoforte la Bce non dice la sua. O non dice la sua qualche presidente di Banca centrale. O magari qualche capo di governo e non necessariamente sui giornali.

E tutto questo cosa dimostra?

La crisi economica sta mettendo perfettamente in luce la crisi istituzionale dell’intera Europa. Di per sé l’Europa di cui parlano i giornali e che ci chiede di fare qualcosa non è un soggetto politico unitario. E nemmeno lo è la Ue, nelle molte facce con si presenta: Bce, Commissione, Eurogruppo, Ecofin. Chi decide cosa? Con quali poteri, con quali controlli e con quali responsabilità? È una situazione paradossale, che però spiega tante cose, a partire dal nanismo politico dell’Europa sullo scacchiere internazionale.

Però Bruxelles e Francoforte comandano.
Non c’è dubbio. Si tratta di un potere che ancora non c’è, ma che si manifesta ed opera, in modo diseguale e con intensità intermittente, nei confronti dei diversi stati europei. Per capirci, non ho ancora sentito parlare di commissariamenti della Francia o della Germania. La verità è che in Italia questo processo di dissoluzione è più avanzato che in altri paesi, ad eccezione della Grecia. Detto questo, bisogna anche dire che tutta Europa è in una fase di non più e di non ancora. E cioè nella fase in cui non esiste più lo stato nazionale in senso stretto e non esiste ancora qualcosa che ne faccia le veci.

In altri paesi la situazione dunque è meno grave?
Sì, ma la linea di tendenza è esattamente la stessa. Sono cose che, come al solito, i costituzionalisti inglesi hanno capito da un pezzo. Come può la Bce raccomandare di condividere − o di devolvere − quote di sovranità? La Bce è un organismo tecnico che è sganciato dalla politica o dovrebbe esserlo; ma se così è, anche la politica dovrebbe essere sganciata dalla Bce. E invece questo non avviene. Dovremmo chiederci perché la Bce dovrebbe essere indipendente dai governi e i governi invece debbono osservare quanto viene dalla Bce. È una situazione che ricorda da vicino quanto diceva negli anni 80, subito dopo il divorzio Tesoro-Bankitalia, un grande amministrativista come Fabio Merusi quando parlava della Banca d’Italia come di un “autonomo potere dello Stato”. 

Partendo dal presupposto che la Banca centrale era un soggetto indipendente dalla politica.
Ma se era indipendente dalla politica e però decideva, esercitava, almeno in parte, un potere sovrano. Esattamente come avviene ora in Europa.

In questo contesto il vecchio stato che conosciamo è destinato ad avere sempre la peggio? Vien da pensare che un conto è essere l’Italia, altro la Grecia, altro la Germania.
Infatti, come le dicevo, il processo di devoluzione o di dispersione della sovranità procede a velocità variabile all’interno dell’Europa. Non è un caso che da qualche anno si sia introdotta la distinzione tra una zona core e una periferica, o tra paesi creditori e paesi debitori. Fino alla crisi del 2007 sarebbe stata vista come una lesione della dignità degli stati che partecipavano all’Unione. Ora è linguaggio corrente e opinione comune. E i mutamenti del linguaggio riflettono sempre quelli della realtà, quando addirittura non li anticipano.

Quali sono le conseguenze di questa eclissi della sovranità?

Nel momento in cui l’Europa si è vincolata attraverso i trattati al perseguimento di una singola politica economica, la capacità di decidere dei singoli stati è stata circoscritta in premessa. Anche per questo l’Europa fa così fatica rispetto ad altre aree del mondo a rispondere alla crisi, che così risulta più forte, più persistente e più insidiosa. 

Quindi parlare o negoziare sulla flessibilità…
Viene presentato come un problema di applicazione o di attuazione dei Trattati. E non, come è, una scelta di politica economica.

Sul blog di Beppe Grillo, Aldo Giannuli ha scritto che Renzi, essendo non un piccolo ma un grosso debitore, dispone del cosiddetto “ricatto del debitore”. L’Italia è troppo grande per fallire, e questa sarebbe un’arma contrattuale nelle nostre mani. Condivide?
Sì, l’Italia è troppo grande per fallire perché il Pil italiano è il 17-18 % del Pil europeo e il nostro fallimento determinerebbe uno smottamento finanziario globale. È vero che c’è il ricatto del debitore; ma anche vero che, in questa strana situazione, il creditore può sempre rimuovere l’amministratore delegato della società debitrice solo per trattare con un interlocutore più gradito. Mi sembra che sia già successo nel 2011.

(Federico Ferraù)