“Non c’è una situazione di crisi dell’Italia rispetto all’Eurozona che viaggia a velocità doppia: questo è accaduto in passato, ora la situazione è cambiata, l’intera Eurozona vive una fase di stagnazione, ma non vale il principio mal comune mezzo gaudio”. Lo ha detto il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, parlando a Gela che insieme a Napoli e Termini Imerese è stata una delle tre tappe della sua visita nel Sud Italia alla vigilia di Ferragosto. Parole dalla forte valenza politica, dopo gli incontri dei giorni scorsi con Napolitano e con Draghi. Abbiamo chiesto un commento a Ugo Finetti, condirettore di Critica sociale.



Perché Renzi ha voluto incontrarsi in pieno agosto con Draghi e con Napolitano?

La lettura di questo duplice incontro è sostanzialmente un’archiviazione del patto del Nazareno come linea di soluzione dei problemi che ci troviamo di fronte. Sia l’incontro con Draghi sia quello con Napolitano sono destinati a segnare un ridimensionamento dell’accordo con Berlusconi. Il dato di fondo è che Renzi da un lato rischia di fallire, dall’altra però non esistono reali alternative. E’ su questi due punti che hanno ruotato i colloqui con Napolitano e con Draghi.



In che senso parla di un rischio di fallimento da parte del premier?

Dal punto di vista economico, gli 80 euro pur essendo risultati utili sul piano elettorale non si sono tradotti in un rilancio dei consumi. Ancora negli ultimi giorni Renzi ha affermato che grazie al bonus le famiglie sono andate al ristorante almeno una sera. In realtà gli 80 euro non hanno fatto crescere i consumi ma si sono tradotti in un aumento del debito pubblico.

Nel frattempo però Renzi almeno sul piano delle riforme istituzionali ha ottenuto un successo con il sì al nuovo Senato…

Le riforme istituzionali sbandierate via Twitter come grande rinnovamento, diminuzione dei costi della politica, maggiore capacità di competizione, non hanno nessuna credibilità sul piano internazionale. Tutti sanno che le riforme istituzionali sono legate a scadenze tali per cui il sì definitivo sul nuovo Senato andrà a regime tra due anni. Non solo, ma il fatto che siano state approvate da una maggioranza che non è quella di governo e che destabilizza la stessa coalizione tra Pd e Ncd, rischia di provocare solo danni. In questo modo si va dritti alle elezioni anticipate.



In che senso le riforme istituzionali preludono alle elezioni anticipate?

Renzi è partito bene, proprio perché ha messo al centro della sua azione i temi e non i nomi, auspicando un presidente della Commissione Ue che non fosse in continuità con la linea del rigore e una politica estera non automaticamente filoamericana. Ben presto però Renzi ha archiviato questa partenza positiva, e si è precipitato a sostenere Juncker purché gli si desse la Mogherini. Questo Renzi “berlusconiano” che sbraita parlando di “colpi di Stato” e che va dritto al rischio di elezioni anticipate è un elemento di inquietudine.

 

E’ per questo che Draghi e Napolitano stanno cercando di correre ai ripari?

Proprio così. Nascono da qui gli incontri che lo stesso premier ha cercato con Draghi e Napolitano, e che si inseriscono nel quadro di un accantonamento del Nazareno e delle maggioranze istituzionali. In questa nuova fase di Renzi a venire al primo posto sono debito pubblico, riduzione della tassazione, riforma del mercato del lavoro e impegno per gli investimenti esteri. Quanto è emerso dagli incontri con Napolitano e Draghi è un accantonare l’asse con Berlusconi e ritornare al Renzi delle origini, quello schierato cioè contro gli “elefanti del Pd”.

 

Quanto è rimasto di questo “Renzi delle origini”?

Le elezioni europee hanno dimostrato che è ancora molto vitale. L’operazione inedita riuscita a Renzi è stata quella di andare a una rottura con la sinistra antagonista e tradizionale e fagocitare il voto del centrodestra. Ciò ha consentito uno sfondamento nell’elettorato del centrodestra. Paradossalmente gli incontri con Napolitano e Draghi segnano il fatto che è in questa direzione che andrà Renzi nei prossimi mesi.

 

(Pietro Vernizzi)