Pier Carlo Padoan ha messo il dito nella piaga: i tempi dei processi economici sono del tutto diversi dalle esigenze della politica. Se gli effetti delle riforme avranno riflessi positivi sull’economia tra 18/24 mesi, si preannuncia un autunno difficilissimo per il governo dell’iperattivo premier fiorentino, anche perché in campo economico le riforme sono praticamente tutte da fare.
Graziano Delrio ha dovuto ammettere a denti stretti che gli effetti degli 80 euro sono stati scarsissimi, e in ogni caso anni luce lontani dalle attese di Palazzo Chigi: i consumi sono rimasti fermi. Il decreto Poletti sul mercato del lavoro è stato poco più di un’aspirina a un malato di tumore. E con la prima lettura della riforma della Costituzione non si fa certo crescere il Pil, che segna un desolante -0,2%.
Costituisce una magra consolazione il fatto che un identico dato (-0,2%) sia segnato dall’economia tedesca. C’è poco da gioire del fatto che la locomotiva d’Europa si sia fermata come un’Italia qualsiasi. Renzi e il suo cerchio magico però vi hanno intravisto subito la possibilità di tornare alla carica (con la stessa Merkel e con gli eurocrati di Bruxelles) per ottenere un allentamento del patto di stabilità. Il calcolo è elementare: stavolta ad avere bisogno di maggiore elasticità non è soltanto Roma, ma anche Parigi e Berlino, perché la stagnazione dell’economia continentale preoccupa tutti quanti. La trattativa è in pieno svolgimento, anche se nelle forme più riservate possibili.
La partita europea comincerà ad essere giocata ufficialmente dal vertice europeo straordinario del 30 agosto, e il premier vuole arrivarci con le carte in regola, con il varo nel consiglio dei ministri del giorno precedente del decreto “sblocca Italia”, preludio di una legge di stabilità sino a questo momento densa di incognite intorno a una manovra che Renzi e Padoan continuano a smentire con tanta foga da farla ritenere per questo quasi ineluttabile.
Ormai è chiaro a tutti che il tema portante dell’autunno non saranno le riforme istituzionali, ma quelle economiche. E che la battaglia sarà in primo luogo in parlamento. Ciascuna forza politica organizza le proprie trincee. Alfano è stato il primo, rialzando la barriera dell’abolizione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, un vecchio cavallo di battaglia del Pdl. Sapeva bene che avrebbe sbattuto contro un no del Pd, che immancabilmente è arrivato, ma doveva marcare la propria presenza. Per i democratici – parole dello stesso Renzi – le tutele devono essere diverse, non di meno. Come a dire che Alfano ha preso la discussione dal verso sbagliato.
Più delicato e foriero di sviluppi il fronte del rapporto con Forza Italia. Ufficialmente Renzi ha opposto sin qui il più fermo dei no a ogni ipotesi di collaborazione con il partito berlusconiano su temi che esulino dalle riforme istituzionali. Ma la mossa degli azzurri di dichiararsi disponibili a discutere misure forti nel superiore interesse del paese rimane sul tavolo, e pesa come un macigno.



Se sarà possibile Renzi eviterà di cogliere questa insidiosa disponibilità in nome della autosufficienza della maggioranza che lo sostiene. Molto però dipenderà dalla compattezza della medesima, un punto da mettere in stretta correlazione con la pesantezza dei provvedimenti che in autunno sarà necessario prendere per dare una scossa alla nostra stagnante economia.
Se le due ali estreme della maggioranza renziana, quella filo-Cgil e quella centrista dovessero finire per entrare in collisione fra loro, il presidente del Consiglio potrebbe prendere in seria considerazione il “soccorso azzurro”. Silvio Berlusconi è intimamente convinto che questo sia lo scenario più probabile, e mantiene i suoi pronti a intervenire. In più lavora per riportare all’ovile qualche parlamentare Ncd (meglio se senatore), affinché il governo abbia sempre più bisogno del sostegno di Forza Italia per sopravvivere. Del resto, proprio la votazione finale sulle riforme costituzionali in Senato ha dimostrato che questo è uno scenario assolutamente concreto, dal momento che il disegno di legge Boschi non sarebbe passato senza il sostegno degli azzurri. Colpa di una robusta pattuglia di franchi tiratori nella maggioranza.
Certo, Renzi potrebbe utilizzare il “soccorso azzurro” come spauracchio per ridurre a più miti consigli i parlamentari propri e quelli dei partiti alleati. Ma non si può escludere che si arrivi prima di Natale a un momento in cui il sostegno diventi indispensabile, con la benedizione del Quirinale. Napolitano sta sostenendo con decisione ogni sforzo di Renzi, ma non ha mai fatto mistero di apprezzare il metodo delle larghe intese, anche al di là dello stesso campo delle riforme istituzionali.
Il problema vero per Renzi sarebbe però il prezzo del sostegno di Berlusconi. Un primo tema sarà la riforma della giustizia, quella che il centrodestra ha sempre invocato e mai realizzato. Ma in quell’ambito potrebbe anche farsi strada la richiesta più spinosa, e che aleggia nell’aria del dibattito estivo: un provvedimento che restituisca al leader azzurro l’agibilità politica. Dopo l’assoluzione sul caso Ruby la questione è diventata concreta, e potrebbe riaffiorare all’improvviso nel bel mezzo di un autunno caldo.

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