Il presidente del Consiglio Renzi si è recato ieri in visita a Baghdad ed Erbil, le città simbolo della resistenza irakena contro l’avanzata delle milizie dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (Isis). “L’Europa in questi giorni deve essere in Iraq altrimenti non è Europa, perché chi pensa che la Ue volti le spalle davanti ai massacri, impegnata solo a pensare allo spread, o sbaglia previsione o sbaglia semestre”, ha detto Renzi incontrandosi con il premier uscente dell’Iraq, lo sciita Nouri al-Maliki. Abbiamo chiesto un commento all’ex ministro della Difesa, Mario Mauro.

Qual è il significato politico della visita di Renzi in Iraq?

In primo luogo è un’iniziativa doverosa, considerato che lo scenario che ci si presenta in questi giorni è un oggettivo pericolo non solo per il Medio Oriente, ma anche per tutta la regione euro-mediterranea. Più in generale sotto la formula dello Stato islamico soggiace il rischio di un posizionamento del fondamentalismo come logica risoluzione delle controversie all’interno del mondo musulmano.

Renzi ha fatto bene a recarsi a Baghdad?

Non solo ha fatto bene Renzi a recarsi a Baghdad, ma ancora di più a visitare Erbil, la capitale del Kurdistan irakeno. In questo momento la regione curda rappresenta un importante partner dell’Occidente, ma ancora di più un luogo che manifesta il rapporto con l’Islam possibile. E’ essenziale ricordarci di quanto hanno fatto i curdi per accogliere le minoranze cristiane in fuga dalla Siria e dall’Iraq.

Che cosa ne pensa del voto delle commissioni Esteri e Difesa sulle armi ai curdi?

Dal punto di vista operativo questa fornitura di armi significa ben poco. Stando a quanto ha riferito il ministro Pinotti, ci siamo limitati a inviare dei mitra, peraltro non più in uso, e dei razzi anti-carro che erano stati sequestrati. Lodevole quindi l’intenzione, ma se i peshmerga dovranno contrastare con successo gli uomini di Isis dovranno avere ben altre forniture.

L’Isis dispone di armamenti più moderni?

L’esercito del Califfato è molto ben armato, grazie soprattutto ai finanziamenti affluiti in massa da Paesi come il Qatar, probabilmente con l’intento di sostenere le fazioni jihadiste anti-Assad. Le forniture di Doha sono il cuore dell’armamento di Isis e hanno come obiettivo il rafforzamento dello Stato islamico. Non dimentichiamoci che già oggi è ampiamente più vasta l’area sotto il controllo di Abu Bakr al-Baghdadi che non quanto rimasto sotto Assad e lo Stato irakeno dei curdi.

Di chi sono le responsabilità della situazione che si è creata?

Questa situazione è figlia della decisione di Obama di abbandonare l’Iraq a se stesso. Una decisione presa per motivi di politica interna, senza alcuna visione e senza alcuna lungimiranza politica. Oggettivamente questa situazione è diventata così incredibile proprio perché accompagnata da un atto di irresponsabilità da parte del presidente americano.

 

Che cosa ne pensa dell’appello del Papa all’Onu perché agisca? E in che modo bisogna farlo?

Oggi nello scenario cui stiamo assistendo una presa di posizione decisa della comunità internazionale è imprescindibile. Potrebbe forse anche essere l’occasione buona per riavviare il dialogo con i russi, convincendoli a concentrarsi su ciò che è più essenziale per l’equilibrio dell’ordine mondiale e desistendo dagli intenti egemoni nell’area centro-europea e del Baltico.

 

Come vede il ruolo in Medio Oriente dell’Ue, tra i contrapposti interessi di Usa e Russia, in questo semestre impersonato da Renzi?

Più che del semestre europeo, starei per dire che Renzi è presidente di turno di un trimestre. Avendo perso l’occasione di completare per tempo la formazione della Commissione Ue, e dal momento che i dirigenti europei hanno rinviato tutto al 30 agosto, il semestre italiano è stato fortemente depotenziato. Ma per venire alla sua domanda, al presidente in carica dell’Ue spetta di prendere l’iniziativa nei confronti di partner rilevanti come Russia e Stati Uniti. L’obiettivo deve essere quello di convincerli del fatto che la gestione del cosiddetto ordine mondiale, della pace e della guerra, che sempre accompagna la vita dei popoli, deve essere affrontato secondo criteri di libertà e democrazia e con uno spirito di collaborazione che non può conoscere battute d’arresto.

 

(Pietro Vernizzi)