“Il tema scelto per questa edizione ‘Verso le periferie del mondo e dell’esistenza. Il Destino non ha lasciato solo l’uomo’ è di scottante attualità”. Lo sottolinea il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nel suo messaggio al Meeting di Rimini che si è aperto ieri, e in cui il capo dello Stato spiega che “le ‘periferie’ non sono lontane, fanno anzi parte del nostro mondo e del nostro vissuto, e le tragedie che si verificano quotidianamente in molte parti del pianeta ci riguardano da vicino. Esse non possono e non devono consumarsi senza risvegliare la nostra coscienza e la nostra attenzione, senza suscitare il nostro coinvolgimento emotivo e morale”. Ne abbiamo parlato con Lanfranco Turci, ex presidente della Regione Emilia-Romagna ed ex deputato dei Ds, molto vicino in passato al presidente della Repubblica.
Napolitano si è sempre dimostrato molto attento al meeting, cui tre anni fa ha anche partecipato di persona. Secondo lei c’è un’affinità culturale?
Napolitano da anni ha dimostrato la sua attenzione per il Meeting di Rimini, e questo rappresenta in qualche modo una novità rispetto ai suoi predecessori. Un presidente della Repubblica non manda messaggi a ogni iniziativa che si svolga in Italia, e quindi scrivere al Meeting è un modo per sottolinearne l’importanza. Più che affinità, c’è quel tratto di Napolitano che è teso a dialogare e a rappresentare l’attenzione alle diverse culture del Paese. Il suo messaggio è quindi espressione di questa attenzione, piuttosto che di un’affinità particolare nei confronti di Comunione e liberazione e del Meeting.
Napolitano non parla della crisi economica, ma mette al primo posto i problemi internazionali. Perché secondo lei?
In parte perché il tema stesso del Meeting evoca questi temi dando il la al messaggio del Capo dello Stato. Il riferimento alle periferie del mondo evoca proprio le zone da cui proviene l’immigrazione, in cui si svolgono i conflitti. D’altra parte evidentemente Napolitano non poteva non accennare alle crisi internazionali che si sono aperte sui vari fronti. In questo senso c’è la consapevolezza della drammaticità della situazione che stiamo attraversando.
Napolitano parla della necessità di “agire per una coesione nuova della comunità internazionale e, in primis, per il consolidamento dell’Unione Europea intesa come baluardo di democrazia, libertà e giustizia”. Anche Napolitano, dopo il Papa, si appella alla comunità internazionale?
E’ evidente che c’è la consapevolezza che l’Italia può fare ben poco di fronte alle dimensioni di questi conflitti. Il riferimento alla comunità internazionale, e nell’ambito specifico all’Ue è inevitabile. Napolitano afferma però anche che “l’interazione con gli altri e il confronto con la diversità devono essere fonte di ispirazione e di ricchezza per il superamento di fatali contrasti”. Mi sembra importante questo riferimento all’interazione con gli altri e al confronto con la diversità.
Per quali motivi?
Se avesse parlato soltanto di comunità internazionale, il riferimento sarebbe andato soprattutto a Europa e Stati Uniti. Il fatto che parli anche del confronto con la diversità è molto importante, perché i conflitti hanno una prima matrice fondamentale nel mondo islamico e nelle tensioni al suo interno. Se l’Europa e l’Italia non riescono a comprendere questo mondo e a confrontarsi con esso, non andremo da nessuna parte. Con i raid aerei e gli interventi d’emergenza non si risolvono certo i problemi.
Che cosa può esprimere da questo punto di vista la cultura di provenienza di Napolitano?
Napolitano proviene da una cultura comunista, che viveva un rapporto particolare con l’Unione Sovietica e tuttavia insisteva sulla coesistenza e la pace. Era un contesto in cui a essere dominante era il conflitto tra i due blocchi. Oggi ci troviamo in una realtà che ha superato questo dualismo tra Washington e Mosca, tra Occidente e Oriente. Qualcuno l’ha definita come “fine della storia”, mentre nella realtà è una storia un po’ più complicata. Da questo punto di vista è difficile tirare una linea di continuità tra l’esperienza in cui si è formata la prima cultura politica di Napolitano e l’esperienza di oggi.
(Pietro Vernizzi)