Mancano risorse aggiuntive per le riforme da attuare nei prossimi mesi, e di qui a dicembre il controllo della spesa dovrà essere rigoroso. E’ quanto ha detto il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, incontrando il premier Renzi, secondo quanto si apprende da un retroscena pubblicato su Repubblica. Renzi intanto ha sottolineato di non avere bisogno di lezioni da Bruxelles, in quanto il Pd è “guardato in tutta Europa, e non solo, come un riferimento, talvolta indicato come modello dai nostri partner socialisti, come in passato facevamo noi con il New Labour britannico o la Neue Mitte tedesca”. Ne abbiamo parlato con Antonio Polito, editorialista del Corriere della Sera.



Senza risorse aggiuntive le riforme di Renzi si bloccheranno?

Non necessariamente, in realtà molte delle riforme necessarie sono a costo zero. Una riforma del mercato del lavoro non richiederebbe una spesa, e lo stesso si può dire per una riforma della giustizia civile in grado di rendere più rapidi i processi. Interventi di questo tipo produrrebbero dei vantaggi anziché creare delle spese, anzi una buona riforma della pubblica amministrazione dovrebbe tagliare la spesa improduttiva. Le risorse possono tutt’al più servire per ammorbidire gli effetti immediati che provocano. Per esempio una riduzione del personale della PA potrebbe richiedere una spesa maggiore per prepensionamenti.



Per Maurizio Lupi “l’articolo 18 è un totem, nel senso che se l’Italia deve cambiare con coraggio e rapidamente, lo deve fare abbattendo simboli di resistenza”. Lei che cosa ne pensa?

Ritengo quella di Lupi e del Nuovo Centro Destra una bandiera giusta perché sarebbe uno shock importante, anche per i mercati e l’economia, il fatto di liberalizzare assunzioni e licenziamenti. In Italia se ne discute dal 1994 e non siamo riusciti a venire a capo a nulla. Una radicale riforma del mercato del lavoro sarebbe la vera carta da giocarsi in Europa per la credibilità del Paese e significherebbe che si volta pagina.



Rivolgendosi all’Ue, Renzi ha detto: “Ogni tanto qualcuno ci viene a fare la lezione sulle priorità, che noi abbiamo ben chiare”. Come valuta questa uscita?

Renzi ha capito che parlare male dell’Europa e dei sindacati porta voti. Deve però stare attento a valutarne le conseguenze. Finché resta retorica è accettabile e lo ha fatto anche Hollande, il quale per anni ha dichiarato che bisognava dire basta all’austerità. Quando però è arrivato il momento delle decisioni, il presidente francese ha licenziato il ministro dell’Economia, Arnaud Montebourg, e si è rimesso in scia di Berlino. Intelligenza e prudenza consiglierebbero all’Italia che non è in condizioni né di debito né di crescita tali da consentirle di fare la voce troppo grossa.

La Germania è una nostra diretta concorrente. Perché ritiene che Renzi non faccia bene a fare la voce grossa?

L’Italia è in concorrenza con la Germania perché entrambe le economie si basano sulla manifattura e sulle esportazioni, mentre il mercato interno è piatto. Questo fatto dovrebbe spingerci ad aumentare la nostra competitività, cioè a ridurre il costo del lavoro e a incoraggiare le imprese ad assumere. Proprio il fatto di essere un Paese esportatore come la Germania avrebbe dovuto sconsigliare Renzi di sprecare 10 miliardi con il bonus da 80 euro nel tentativo vano di rianimare i consumi interni. Ciò che andava fatto era abbattere il costo dell’Irap per le imprese e renderle così più competitive nel panorama internazionale, introducendo inoltre i mini-jobs come in Germania.

 

Una riforma del lavoro finirà per spaccare il Pd?

Questo rischio è proprio il motivo per cui una riforma del mercato del lavoro non è stata attuata dal governo Monti. Il ministro Fornero aveva deciso di farla, ma poi frenò proprio per non spaccare il Pd in quanto Pierluigi Bersani le aveva chiesto di non creargli problemi eccessivi con la sinistra del partito e con la Cgil. Ormai è da molto tempo che la riforma del mercato del lavoro non si fa per non aprire lo scontro interno alla sinistra italiana. C’è da augurarsi che la concreta novità di Renzi consista nel fatto di riuscire a infrangere questo tabù che nessun leader prima di lui ha osato toccare.

 

(Pietro Vernizzi)