“La giustizia può riequilibrare, ma il risanamento vero è fuori dell’ordine della giustizia”. A dirlo è Luciano Violante, ex magistrato, penalista, membro di spicco del Pci poi del Partito democratico, già alla guida della commissione parlamentare antimafia e poi presidente della Camera dei deputati dal ’96 al 2001. Non solo una delle menti più lucide della sinistra italiana, ma anche, da qualche anno, fedele ospite del Meeting di Rimini, dove oggi parlerà su “Vita pubblica: giustizia e gratuità”. Senza quest’ultima, dice Violante, il paese è spacciato.



Giustizia e gratuità, misura e dono non sembrano andare molto d’accordo.
La giustizia può  riequilibrare, ma non può risanare. Cos’è infatti la giustizia? Direi, semplificando, che è la contropartita di un danno. Ristabilisce un equilibrio, ma un equilibrio fra lesioni. Tu hai leso qualcosa di me, io ledo qualcosa di te e ristabiliamo l’equilibrio, ma nulla è risanato realmente perché il risanamento vero è fuori dell’ordine della giustizia. 



E chi lo compie?
Appartiene non alla sfera della giustizia ma a quella della riconciliazione, alla capacità delle persone e della comunità di ricostruire i legami sociali, poggiandoli sul complesso dei valori umani. 

Ma ci sono esempi storici di quello che sta dicendo?
Penso alle commissioni per la verità e la riconciliazione create in molti paesi del mondo, dal Sud Africa alla Corea del Sud, dal Salvador al Ghana dopo fasi molto violente, quando si è preferito ai tribunali e alle condanne cercare la verità e proporre la riconciliazione nazionale sulla base del riconoscimento delle proprie responsabilità da parte dei colpevoli.



E un gesto come quello che lei ha descritto quali effetti ha?
Sia chiaro: non dappertutto queste procedure hanno funzionato. Ma dove hanno funzionato, nella maggior parte dei casi, si è raggiunta la pace. Il risanamento è un’espressione di pace: permette di superare realmente il conflitto, perché il responsabile della lesione ammette la propria colpa e la vittima accetta che questo riconoscimento possa essere sufficiente per chiudere le tensioni.

Perché invece crediamo di ottenere la pace puntando sull’inasprimento della pena?
È l’illusione repressiva: credere che un aumento della coercizione possa portare di per sé un aumento dell’ordine. Non è così. Quando c’è un eccesso di repressione rispetto alla entità del delitto, aumenta il disordine e si creano lesioni profonde nel senso di giustizia. I delitti vanno puniti, ma  l’inasprimento irragionevole della repressione allo scopo di conseguire un ordine sociale che si sta perdendo o di acquisire consenso politico è una scorciatoia che finisce contro un muro. Dopo la giustizia occorre la riconciliazione, la biblica tsedaqa. La riconciliazione è possibile su un altro terreno, quello della gratuità.

Con gratuità che cosa intende?

In effetti è una delle parole più cariche di significati contrastanti. Gratis vuol dire senza corrispettivo; gratuito vuol dire senza una motivazione ragionevole. Per spiegare la gratuità userei un passo del Vangelo di Matteo, 10,8: Gesù dice agli Apostoli “gratuitamente avere ricevuto, gratuitamente date”. Che vuol dire “gratuitamente avete ricevuto”? Che non avete pagato? E chi dovevano pagare? E “gratuitamente date”? Vuol dire: non vi fate pagare, ma che cosa è pagabile?

Quindi?
Gratuità in questo contesto significa che la ragione per la quale si compie un atto basta a se stessa, sta in quell’atto e non fuori di esso. Non sta in una contropartita. Un comportamento ispirato a valori che non si trovano sul mercato si spiega in sé stesso, non perché io debba avere qualcosa in cambio da coloro che sono in relazione con me. Nell’atto di gratuità c’è un eccedenza di valore, intrinsecamente superiore rispetto a quello contenuto nell’atto stesso. 

Non crede che il fondamento della gratuità stia nella misericordia di Dio per l’uomo?
Non ho la competenza necessaria per avvicinarmi a questo tema. Posso solo dire che la gratuità ha una dimensione religiosa, come quella che lei ha evocato, e una dimensione laica. La militanza politica che ha caratterizzato alcuni grandi partiti era una froma di gtratuità. Durante il lungo periodo della mia vita politica nel quale ho dovuto occuparmi di terrorismo e di mafia, ho avuto molto spesso scorte di partito. Erano operai, impiegati, persone che finito di lavorare prendevano la macchina e venivano a prendermi a Firenze, a Bologna a Trieste, a Napoli e mi portavano a dormire a casa o in posti più sicuri. Dormivano un paio d’ore e l’indomani tornavano al lavoro. Non lo facevano né per me, né perché c’era un corrispettivo, che non c’era. Era un atto gratuito perché credevano nel valore dell’azione politica che compivano. Entrambe le dimensioni della gratuità, quella religiosa e quella laica, fanno riferimento a un valore che trascende i limiti dell’atto.

C’è ancora gratuità nella vita civile del nostro paese?
L’invasione che il mercato ha fatto degli spazi prima riservati alla politica, alla morale, alla religione, ha prodotto in molte parti del mondo, anche in Italia, un effetto di commercializzazione globale degli spazi vitali. Il mercato deve stare nei suoi ambiti; quando invade spazi che non gli sono propri crescono l’egoismo sociale, l’ambizione individuale, si logorano i legami sociali e rallentano i processi di civilizzazione. Tutto l’Occidente, anche se non tutto nella stessa misura, ha fatto passi indietro. In questo quadro l’Italia non fa eccezione. Per questo dobbiamo riprendere il cammino, con fiducia.

In che modo?
Ci sono regole istituzionali che vanno ripristinate; lo si sta facendo, ma la civilizzazione non è soltanto un problema regolatorio. Machiavelli aveva osservato: “Così come gli buoni costumi per mantenersi hanno bisogno delle leggi, così le leggi per osservarsi hanno bisogno de’ buoni costumi”. Oltre alle leggi servono i comportamenti responsabili ispirati a grandi valori: la società deve responsabilizzarsi rispetto al proprio futuro perché nessuna società può salvarsi se non determina quello che non si compra e non si vende.

E in concreto che cosa possiamo fare?

È urgente cominciare a prendere in mano le fila della gratuità, tanto quelle laiche quanto quelle religiose. Dobbiamo tornare ad agire con comportamenti che non hanno valore di scambio perché non sono orientati allo scambio, ma alla crescita umana.

Ma ne siamo capaci?
Sono convinto che l’Italia ha grandi valori, che vanno sollecitati con determinazione. Nessun processo di civilizzazione va avanti solo con la rivendicazione di diritti. Senza diritti non c’è democrazia. Ma una democrazia senza doveri resta in balia degli egoismi individuali e dei conflitti istituzionali, priva dei valori della solidarietà e dell’unità politica. E a quel punto franano anche i diritti. Occorre costruire il tempo dei doveri, pubblici e privati, non in modo antagonistico rispetto ai diritti, ma per integrare i diritti in una visione più equilibrata e più orientata al futuro.

Questo indebolimento dei legami sociali è causato solo dai meccanismi del mercato? Non crede che abbia anche cause antropologiche e di costume?
Naturalmente non c’è mai una ragione sola. Habermas ha rilevato che il legame sociale si logora nel momento in cui ad ogni comportamento viene assegnato un prezzo. Questo mi pare il problema principale.

Lei prima ha citato una storia esemplare di perdono come quella del Sudafrica. Noi partiamo da zero?
Negli anni del terrorismo un certo numero di condannati per questo tipo di delitti chiesero di essere messi insieme, in carcere, nelle cosiddette “aree omogenee” per poter discutere di quello che avevano fatto. Con altri sostenni questa soluzione. Fu una svolta: la discussione tra coloro che avevano partecipato al terrorismo  portò molti ad uscire dalla logica e dall’esperienza terroristica, e non sulla base di una contropartita − una riduzione della pena per esempio − ma di una riflessione sul significato dei delitti commessi. In nessun altro paese che ha avuto il terrorismo c’è stata la capacità di uscirne in questo modo. Aggiungo che quell’esperienza non comportava sconti di pena.

Non pensa che anche Tangentopoli abbia indebolito i nostri legami sociali?
A mio avviso, è stata la corruzione che ha indebolito i legami sociali. I processi sono stati la conseguenza di quel tipo di reati. Ma la lotta alla corruzione non può essere integralmente devoluta alla magistratura. Anche qui forti e concreti richiami ai doveri pubblici e privati potrebbero essere utili per un costume nuovo.

Lei è già stato ospite del Meeting diverse volte. Che cosa le piace?
La  gratuità dei volontari. E la capacità di costruire comunità, che è il deficit maggiore che abbiamo in questo momento, non solo nel nostro paese ma nel nostro orizzonte. Vedere al Meeting non solo giovani, ma  intere famiglie è una cosa che mi colpisce ogni volta e fa riflettere. 

(Federico Ferraù)