Una Mogherini e un gelato non bastano. Forse Matteo Renzi se ne sta rendendo conto. Per sbloccare l’Italia non basta un decreto ricco più di buone intenzioni che di risorse economiche. Non ha avversari in patria il presidente del Consiglio, ma ha un disperato bisogno di risultati concreti per evitare che lo straordinario consenso che lo sorregge cominci a sgonfiarsi.



I sondaggi parlano di un Pd che procede a gonfie vele, con un consenso addirittura superiore al 40,8 per cento delle europee di fine maggio, e né il centrodestra azzoppato nel suo leader, né le bizze grilline sembrano in grado di impensierirlo. Il primo serio attacco venuto dall’estero, però, Renzi ha mostrato di non gradirlo, rispondendo con la sceneggiata del gelato nel cortile di Palazzo Chigi, incomprensibile per tanti italiani medi che non leggono l’Economist.



Probabile che la luna di miele di cui ha goduto il premier, lunga quasi il doppio dei tradizionali 100 giorni, volga al termine, e che solo risultati concreti possano convincere gli osservatori, tanto sul piano internazionale, quanto su quello interno. La nomina di Federica Mogherini ad Alto rappresentante della politca estera europea costituisce una notizia buona, ma non risolutiva. Renzi evita di perdere la faccia, anzi dimostra di avere la forza politica di imporre una propria candidatura a una poltrona prestigiosa. La partita europea è però assai più delicata e corposa di quella per “lady Pesc”. Il braccio di ferro decisivo sarà quello sulla flessibilità, tema su cui i 28 capi di stato e di governo passano di rinvio in rinvio. Adesso il nuovo appuntamento è fissato per il 7 ottobre, un vertice straordinario sui temi della crescita dove continuerà il pressing sui tedeschi e sul fronte dei paesi nordici. 



Da Parigi Renzi si affanna a spiegare per l’ennesima volta che non si tratta di una richiesta dei paesi che stanno peggio, ma di quello che serve a tutta Europa. Sinora però tutti gli appelli alla ragionevolezza e all’uso intelligente e flessibile delle regole che già esistono sono caduti nel vuoto.

Forse solamente da un mutato atteggiamento dell’Europa sul rigore potrebbero arrivare quelle risorse che sono indispensabili per dare un autentico choc all’economia italiana, quelle stesse risorse che in campo nazionale proprio non si riescono a trovare. 

Esemplare la storia del Consiglio dei ministri del 29 agosto. Un crescendo di annunci durato un mese, ed alla fine la montagna che ha partorito un topolino, o poco più. Provvedimenti che vanno nella direzione giusta, ma decisamente troppo poco per far ripartire il paese. E al di là delle opere pubbliche sbloccate, poco o nulla, tanto per carenza di finanziamenti, quanto per carenza di consenso politico. 

Il rinvio della riforma della scuola, che Renzi ha minimizzato, costituisce invece un campanello d’allarme sulla difficoltà ad affrontare problemi complessi. Ed anche lo scontro durissimo che si è aperto sulla giustizia all’interno della maggioranza costituisce uno scricchiolio preoccupante: rinviare al parlamento temi esplosivi e divisivi come la responsabilità civile dei magistrati e la riforma delle intercettazioni telefoniche significa spostare dentro le aule di Camera e Senato uno scontro che potrebbe protrarsi per un tempo infinito, come già accaduto in passato.

L’inconcludenza è però ciò che Renzi proprio non può permettersi. Più passa il tempo, più ha bisogno di fatti concreti. Dal palco del Meeting di Rimini in rapida successione glielo hanno fatto presente senza tanti giri di parole tanto il numero uno di Fiat-Chrysler, Marchionne, quanto il presidente degli industriali, Squinzi. Sinora il governo ha fatto solo annunci e pochi fatti. Tanto il decreto Poletti sul mercato del lavoro, quanto lo sblocca Italia sono giudicati poco più di un brodino. Squinzi ha pure ribadito di ritenere un errore e uno spreco di risorse gli 80 euro. Va sottolienato che non si tratta di una chiusura, perché allo stesso tempo Squinzi ha fatto sapere a Renzi che gli imprenditori sono pronti a nuovi sacrifici, che non faranno opposizioni corporative a provvedimenti, anche dolorosi, che davvero andassero nella direzione della crescita.

La scommessa d’autunno di Renzi è proprio questa: imprimere una forte accelerazione al processo riformatore. Le sfide da vincere sono tante e portano il nome di legge delega sul mercato del lavoro (noto anche come Jobs Act), riforma della scuola, legge di stabilità, seconda lettura delle riforme costituzionali alla Camera e legge elettorale al Senato.

Tutto si tiene, il versante economico e quello istituzionale. Il peggior nemico del premier rimane la sua maggioranza parlamentare, le fronde, interne ed esterne al suo Pd. Non potranno certo fermarlo, ma rallentarlo sì. Lui invece non può permettersi di perder tempo. Più che con i sindacati (che gli chiedono di evitare solitarie fughe in avanti) Renzi dovrà dimostrare di sapersi imporre ai deputati e senatori che lo sostengono. E il vento nelle vele potrebbe non durare in eterno.