183 sì e il ddl Boschi sulla riforma del Senato ottiene l’approvazione di Palazzo Madama (morente): nasce dunque la Camera della Autonomia. Modificata la Costituzione e abolito il Bicameralismo perfetto, Matteo Renzi esulta e su Twitter cinguetta: “Ci vorrà tempo, sarà difficile, ci saranno intoppi. Ma nessuno potrà più fermare il cambiamento iniziato oggi”. La prossima sfida sarà la legge elettorale, ma anche mettere ordine in una maggioranza e in un Pd non troppo coeso. In più la situazione economica che rimane grigia. Massimo Mucchetti, senatore del Partito Democratico che non ha partecipato al voto che ha dato il via libera alla riforma, ci spiega tutte le sue perplessità sull’operato dell’esecutivo.
Palazzo Madama ha dato il via libera alla riforma del Senato: 183 sì, 4 astenuti e nessun no. Lei, e altri colleghi del Pd in disaccordo (oltre ai senatori M5S e leghisti), non ha partecipato al voto.
Le motivazioni che mi han portato a non prendere parte alla votazione le ho ampiamente espresse nel mio blog (http://massimomucchetti.it/twettone/ ): tempistiche – quando le priorità erano economiche – contenuto della riforma e ragioni politiche-istituzionali. Lei ha citato i numeri: ecco, i voti sono stati abbastanza pochi. Considerando la potenzialità della maggioranza allargata a Forza Italia si poteva arrivare a circa 230: ne sono mancati una cinquantina…
Questo per dire che?
Che son davvero pochi voti e che la maggioranza, di cui faccio parte, dovrebbe riflettere accuratamente su come si debbano effettuare tali passaggi istituzionali.
Renzi esulta e su Twitter scrive: “Ci vorrà tempo, sarà difficile, ci saranno intoppi. Ma nessuno potrà più fermare il cambiamento iniziato oggi”.
Beh, ma queste dichiarazioni sfondano una porta aperta: non c’è nessuno che vuole fermare il cambiamento. Il problema, a par mio, è che Renzi ha preso un abbaglio nel credersi l’unico interprete del cambiamento, che va fatto al meglio; non è detto che tutto quello che uno pensa sia per forza di cose – e sempre – la cosa giusta. Questo gioco dialettico e puramente propagandistico di proporre un presunto fronte dei rinnovatori e uno dei conservatori non è mica la rappresentazione della realtà.
Che è?
Se vogliamo giocare sul piano della radicalità del cambiamento ci sono tante persone che sono più radicali di Renzi. Poi, la prima emergenza del Paese è l’economia in recessione: non è che paghi i conti dal droghiere con la riforma del Senato. Attenzione: ci voleva eh, ma non era la cosa più importante da fare oggi. E lo si è fatto notare già da tempo. L’inefficienza dei meccanismi decisionali della politica dipende soprattutto dall’incapacità dei governi di dare esecuzione ai provvedimenti che essi stessi prendono.
Il nodo dei decreti attuativi…
800 ancora da emanare, è questo il problema vero. Né la Camera né il Senato hanno la piena responsabilità di tutto ciò. E non è colpa certamente di Matteo Renzi, anche se c’è da dire che il suo governo non è che si sia distinto per capacità di esecuzione delle politiche perseguite.
Insomma, non condivide le modalità, oltre all’aver spostate l’attenzione su altre riforme anziché sull’economia.
Fermi un attimo: ma quali riforme?
C’è in ballo anche la legge elettorale…
Sì, ma quando abbiamo fatto anche quella non è che la scossa all’economia la si dà così come fosse una pianta, che fa cadere i frutti. Ci vogliono le idee, bisogna sapere cosa fare.
Si naviga a vista?
Sì e penso che sia un po’ troppo poco, certamente meno di quanto serve davvero al Paese. Ad oggi non intravedo idee nuove, interessanti e risolutive su questo versante. Motivo per il quale all’estero – dopo l’iniziale apertura di credito, per altro concessa sempre a tutti i nuovi governi in Italia – si stanno iniziando a fare delle domande. Ricordiamoci i primi quattro-cinque mesi di Monti e di Letta: furono all’insegna della speranza e dell’ottimismo. Al momento, a parte gli 80 euro, cosa si è visto di pratico?
Chiudiamo con l’Italicum: che ne pensa?
È già morto. La legge elettorale è materia di un nuovo round negoziale fra Berlusconi e Renzi: aspettiamo di sentire che cosa ci vengono a proporre. L’Italicum com’era fatto era una cosa che non stava in piedi, ma non credo neanche che restaurare le preferenze sia la soluzione migliore: i collegi uninominali sarebbero molto meglio. Ci aspetta un settembre non banale sulla legge elettorale.
(Fabio Franchini)