La designazione di Federica Mogherini a Lady Pesc è un grande successo di Matteo Renzi che corona la vittoria nelle elezioni europee in cui è divenuto il più forte partito socialista europeo. Il prezzo? I socialisti europei ai piedi di Angela Merkel.
È difficile credere che il ministro degli Esteri italiano avrà in mano la politica estera di Bruxelles. In un contesto da “terza guerra mondiale” che vede l’Unione europea in una guerra commerciale con la Russia di Putin che evoca la battaglia di Stalingrado, il ruolo della candidata di Renzi non sembra certo di leadership. La speranza è che questo incarico possa essere utile a sbloccare la vicenda dei nostri marò in India. In quel caso sarebbe per noi italiani un gran successo dopo gli insuccessi di Monti e Letta.
Per quanto invece concerne l’Unione europea, in sostanza, con le nomine decise nell’ultimo vertice di Bruxelles – Juncker rafforzato dal “popolare” polacco Tusk al Consiglio europeo e dalla “socialista” italiana al Pesc (con il Ppe spagnolo all’Eurogruppo e il Pse francese ad un ridimensionato Affari economici) – cresce il ruolo di Angela Merkel come “dominus” non solo sul piano della politica economica, ma anche in quello della politica estera. Ed è proprio questo il punto centrale. Dopo il gran vociare italiano sull’andare a Bruxelles ad “alzare la voce” contro la Merkel, ora registriamo l’irrilevanza del Movimento di Grillo e la ricerca di un rapporto preferenziale da parte di Renzi e Berlusconi con il cancelliere tedesco. Dalla diarchia franco-tedesca con le nomine di sabato si è passati alla monarchia berlinese. Mentre si pensava che dopo il voto europeo vi sarebbe stato un ridimensionamento della leadership tedesca, oggi vediamo Angela Merkel incoronata “padrona di casa” a Bruxelles. Non è un problema di Renzi. Si tratta di un dato politico generale: in sostanza l’affermazione degli euroscettici si è tradotta in un indebolimento dei socialisti e non dei popolari nel Parlamento europeo.
È così che Matteo Renzi dopo aver esordito intimando “prima i contenuti, poi i nomi”, viste le reazioni negative – soprattutto tedesche – al suo discorso di Strasburgo, ha rapidamente capovolto la posizione, ha ricercato la benevolenza tedesca offrendo la rottura del fronte dell’opposizione a Juncker in cambio della Mogherini ed ha accettato di rinviare a dopo le nomine ogni discussione sulle possibili correzioni alla politica economica. Se ne parlerà in ottobre. Della presidenza di turno del “jeune homme” (come ormai chiamano il premier italiano nei palazzi di Bruxelles) si sono perse le tracce, sostituto in quel ruolo da Van Rompuy che è lasciato in carica fino a dicembre.
Matteo Renzi, forte del fatto che sulla scena italiana non esiste un’alternativa e che tutti – anche i “gufi” – si augurano che abbia successo (se non nell’uscire dalla crisi almeno nel diminuirne i morsi) rimane padrone della scena, ma cresce l’impazienza per vedere qualcosa di concreto.
L’Italia, con dodici governi in vent’anni di maggioritario, dopo i suoi primi sei mesi si aspetta ancora qualche segno di vita. Il bilancio impietoso è quello del suo ministro dell’Economia: “Ci muoviamo intorno alle cifre indicate in aprile col documento di Economia e finanza, ma stiamo entrando solo adesso nella fase di identificazione delle misure. In ogni caso gli obiettivi dei tagli di spesa terranno conto del quadro economico peggiorato”. Così Pier Carlo Padoan il 27 agosto 2014.
L’unica “buona notizia” per mettere a tacere i “gufi” è che anche la Germania è in difficoltà. “Mal comune mezzo gaudio / Cuor contento il ciel l’aiuta”: questo il Renzi che si fa fotografare a Palazzo Chigi con il cono di gelato mentre i suoi “sponsor” imprenditoriali prendono le distanze.
In che cosa consiste l’affanno-inconcludenza di Renzi? C’è anche un dato politico. Matteo Renzi finora si è barcamenato tra due e opposte maggioranze: quella “politica” con Alfano e quella “istituzionale” con Berlusconi. Con quella politica ha concluso poco mentre è solo con Berlusconi che ha realizzato qualcosa di concreto: la riforma del Senato. È stata una vittoria, come Renzi ha sottolineato, essenzialmente “simbolica”. Infatti la vera emergenza istituzionale non è il bicameralismo della Costituzione del 1948, ma il fatto che il “terzo potere”, la magistratura, con il governo Renzi sta legiferando sempre più su tutto: dalla sanità alle infrastrutture, dalla famiglia all’economia, iniettando incertezza e improvvisazione nella crisi sociale.
In conclusione Matteo Renzi, presto o tardi, deve uscire dal “gioco delle tre tavolette”, delle varie maggioranze. Il contenuto del patto del Nazareno è un “segreto di Pulcinella” ed è molto preciso (soprattutto per Berlusconi): l’eliminazione di Letta, Alfano e Napolitano. Stretto l’accordo, Renzi ha infatti sostituito Letta, ha poi messo in primo piano le riforme istituzionali, quindi promette una legge elettorale concordata con Forza Italia (che metta alle corde Alfano) e assicura un nuovo inquilino del Quirinale (che garantisca Berlusconi). Una tabella di marcia che però ha inquietato chi Berlusconi considera “golpisti”: Napolitano, Draghi e la Merkel.
Renzi sul palcoscenico di Strasburgo vantando come unica certezza la maggioranza “istituzionale” ha registrato i fischi e si è allora precipitato da Napolitano e Draghi. Ora deve decidersi. La maggioranza “strana” con Alfano − ex larghe intese con Berlusconi ed ex governo Letta − è chiaramente agonizzante e, da parte sua, Alfano non ha prospettive né di rifondazione del centro-destra né di riconciliazione con Berlusconi. Le strade sono ormai tre: 1. questa maggioranza – Renzi con Alfano − si ricompatta prospettando non una futura divisione su sponde alternative alle prossime elezioni, ma al contrario prendendo forma di una vera e propria maggioranza di governo per i prossimi mille giorni; 2. di fronte all’emergenza economica la maggioranza “istituzionale” con Berlusconi diventa maggioranza “di governo” ed in tal senso da Arcore vengono segnali di disponibilità; 3. Renzi continua a fare conferenze-stampa con slide e tweeter girando a vuoto e poi va a elezioni anticipate accusando i “gufi” di non farlo governare.