“Perché tace? perché non interviene e riporta un po’ di chiarezza?”. La domanda i forzisti di rango che non fanno parte del cerchio magico arcoriano se la ripetono con sempre maggiore frequenza. Che fine ha fatto Berlusconi? La sua creatura politica è in difficoltà, e lui se ne disinteressa.

È davvero difficile capire cosa passi per la testa del leader del centrodestra. Alcuni che lo hanno incontrato recentemente lo descrivono come sempre più disinteressato rispetto alla gestione quotidiana della polemica politica e delle relative strategie parlamentari e comunicative. Qualcuno si spinge a ipotizzarne un lento crepuscolo. L’unico dato certo è però la sua ostinata volontà di non farsi da parte, nonostante i suoi 77 anni. E nonostante la sua testardaggine a rimanere in campo rischi di trasformarlo in una sorta di tappo che impedisce il rinnovamento e la rifondazione dell’intera area del centrodestra italiana. 



Il problema di ricostituire un credibile schieramento dei moderati si porrà nel medio termine, a partire dalle regionali d’autunno (Emilia e Calabria), e poi dal turno amministrativo di primavera. Nell’immediato però i maggiori grattacapi rischiano di venire a Berlusconi dal suo stesso partito, che sembra sempre più una pentola a pressione, dove la pressione sale, senza trovare sfogo. La polemica fra Raffaele Fitto e Maria Rosaria Rossi è emblematica. Lei è una delle poche depositarie del volere del Capo, lui è uno dei pochi depositari di voti suoi, e non legati fideisticamente alla figura dell’ex Cavaliere, come provano i 283mila voti alle ultime europee. 



L’ex enfant prodige della politica pugliese non arretra di un millimetro, e continua a porre il solito nodo politico, se cioè Forza Italia si colloca o no all’opposizione delle scelte politiche del governo. Insiste dall’interno Fitto, dall’interno di un partito da cui non ha alcuna intenzione di andarsene e a cui chiede di scegliere con le primarie i candidati per i futuri appuntamenti elettorali. La sua convinzione è che il partito debba farsi trovare pronto per ogni evenienza, anche per le elezioni politiche anticipate, eventualità che comincia ad aleggiare con sempre maggiore insistenza nei corridoi dei palazzi romani. Un discorso lineare che equivale a dire che oggi per quelle scadenze Forza Italia non è assolutamente preparata. 



Il caso dei componenti di nomina parlamentare della Corte costituzionale e del Consiglio superiore della magistratura costituisce l’altra prova del caos che regna dentro il partito azzurro. È opinione comune che il nome di Antonio Catricalà, tanto caro a Gianni Letta, sia stato affondato dal fuoco amico. Un mezzo disastro: giovedì scorso nel transatlantico di Montecitorio non si capiva più chi trattasse a nome dei berlusconiani. Il risultato più probabile sarà che gli azzurri cambieranno cavallo (Donato Bruno al posto di Catricalà) e i democratici no (Luciano Violante), nonostante Paolo Romani si sbracci a sostenere che si deve ripartire da zero con un nuovo accordo. Se andrà così, si tratterà di una rovinosa sconfitta. 

Davanti a Berlusconi si aprono sostanzialmente due strade. La prima è quella dell’acquiescenza a Renzi, giocando il doppio binario dell’accordo sulle riforme e dell’opposizione costruttiva sul resto. È lo scenario in cui l’ex Cavaliere è (o s’illude) di rimanere determinante per le sorti del paese. Di lotta e di governo insieme, come dimostra la delegazione delle forze dell’ordine ricevuta a Palazzo Grazioli nei giorni caldi dello scontro con l’esecutivo sul blocco degli stipendi del pubblico impiego. O come potrebbe dimostrare un nuovo incontro con il premier per aggiornare il patto del Nazareno.

Illudersi però di non pagare il prezzo in termini di consenso di scelte economiche dolorose è però velleitario. In più, la maggioranza renziana, per quanto recalcitrante e raccogliticcia, ha una piena autonomia dal punto di vista dei numeri, e il premier intende sfruttarla sino in fondo, ricorrendo al “soccorso azzurro” solo in casi davvero eccezionali. Dunque, il ruolo border line è difficile da sopportare nel lungo periodo (il nervosismo di Fitto lo dimostra), e rischia di non portare un solo voto in più, anzi di farne perdere.

La seconda strada è quella difficile della ricostituzione di uno schieramento moderato competitivo. Una strada che potrebbe comportare sacrifici personali pesanti a Berlusconi, sino alla necessità di passare la mano. A Marina, a Fitto, a chi sarà poco importa, il nodo è un passo indietro ad oggi poco probabile. In più si tratta di una strada in antitesi con la precedente, anche se Udc e Ncd pretendono di discutere di alleanze future solo con una Forza Italia che rientra nella maggioranza di governo e ne condivide le fatiche, tagliando fuori Lega Nord e Fratelli d’Italia. Al contrario, con Salvini e Meloni per Berlusconi sarebbe assai più facile ricucire collocandosi all’opposizione, senza se e senza ma.

Oggi di fatto il centrodestra non esiste più e lo scenario più plausibile è di andare in ordine sparso ai prossimi appuntamenti elettorali. Ma la decisione finale non potrà che essere dello stesso Berlusconi, a meno che il vulcano Forza Italia, che fuma da mesi, non entri improvvisamente in fase eruttiva.