“Basta insulti al sindacato: guardiamoci negli occhi e discutiamone”. E’ la risposta al premier Renzi sull’account di Twitter della Cgil, dopo la polemica montante sull’articolo 18. Ma a contestare il segretario del Pd sono anche esponenti di primo piano del partito come Sergio Cofferati e Stefano Fassina. Per non parlare di Pier Luigi Bersani, il quale trasecola: “Leggo oggi sui giornali, come attribuite al governo, delle intenzioni ai miei occhi surreali. In alcuni casi si descrive un’Italia come vista da Marte”. Ne abbiamo parlato con Antonio Padellaro, direttore del Fatto Quotidiano.



Padellaro, come si spiega quanto sta avvenendo nel Pd sull’articolo 18?

Si spiega in primo luogo con l’influenza della Commissione Ue. Renzi era partito lancia in resta dicendo che l’Italia avrebbe deciso sulla base delle sue convenienze anziché delle richieste della Commissione Ue. Più passa il tempo e più di fronte a una condizione complessiva dei conti e degli indicatori economici sempre peggiore, sembra convertirsi alle richieste che vengono dall’Europa. L’abolizione dell’articolo 18, più che per gli effetti concreti che può realizzare, è importante per Renzi per dimostrare a chi comanda in Europa che lui fa sul serio e che l’abbattimento di questi tabù è cominciato.



Ma la riforma del lavoro di Renzi non rischia di essere una scatola vuota?

Diciamo che la questione è soprattutto mediatica. Il premier deve continuamente dimostrare di essere “Turborenzi”, cioè uno che fa le cose che ha detto. Il problema però è che le lascia a metà, un po’ come i cantieri aperti a Roma per costruire metropolitane e aggiustare condotti elettrici che poi restano spesso aperti. Le riforme di Renzi assomigliano molto al paesaggio pieno di “buchi” della Capitale. Il Senato è soltanto alla prima lettura e non si sa se ci saranno le altre tre. L’Italicum è ancora per aria e mancano i decreti attuativi delle leggi approvate non solo da Renzi ma anche da Letta e da Monti.



Che cosa accadrà in Parlamento?

Il dibattito sull’articolo 18 rischia di impantanare ancora una volta il governo in Parlamento. Dopo le 13 votazioni per i giudici della Consulta e del Csm terminate in una fumata nera, è evidente a tutti che Renzi non ha il controllo del Parlamento e quindi è possibile che in commissione Lavoro e poi in aula ci sia un Vietnam.

Come esce Renzi da questi rapporti di forza?

L’unica strada che ha a disposizione in questo momento, finché i sondaggi gli danno ancora un consenso molto alto malgrado tutti i flop, è quella di andare alle elezioni anticipate. In questo modo potrebbe capitalizzare il risultato delle Europee e liberarsi di tutti i parlamentari che gli fanno la fronda nominando al loro posto persone di sua assoluta fiducia.

Perché allora non lo fa subito?

Perché bisogna vedere se Napolitano gli scioglie le Camere. Il presidente della Repubblica potrebbe anche applicare la Costituzione alla lettera, e prendendo atto che Renzi non ce la fa, affidare l’incarico per un governo tecnico o provvisorio. Sarebbe inoltre ridicolo se dopo avere approvato la riforma del Senato in prima lettura si andasse a elezioni anticipate dovendo votare per lo stesso Senato che si sta cercando di abolire.

 

Di fronte alle impreviste difficoltà che sta affrontando, ritiene che Renzi abbia bisogno del soccorso di Berlusconi anche sulle riforme economiche?

Il governo non ha bisogno del soccorso di Forza Italia, anche perché Forza Italia il soccorso glielo dà ogni giorno, tanto che ormai sul Fatto Quotidiano parliamo del partito unico di “Renzusconi”. I due si incontrano continuamente e il miglior alleato di Renzi è Berlusconi. Il vero problema riguarda piuttosto l’Europa. Da tempo si sente parlare del fantasma della Trojka, al punto che il ministro Padoan ha proposto un controllo dell’Europa sui nostri progressi in materia economica. La Commissione Ue non è più disposta a tollerare che l’Europa continui a galleggiare, con il rischio di affondare portandosi dietro l’euro.

 

(Pietro Vernizzi)