Il 29 settembre compirà 78 anni ma per la panchina dei giardinetti non si sente abbastanza pronto. A Sirmione, alla scuola di formazione politica di Forza Italia, ha spento gli impeti dei “rottamatori”: il partito va rinnovato e riportato allo spirito del ’94, ma il leader rimane ancora lui.

Ha scherzato, ha usato l’arma dell’ironia, per dire che “in Italia c’è una bandiera che sventola forte che si chiama Matteo Renzi, e una bandiera a mezz’asta che si chiama Silvio Berlusconi”, ma che si può ancora utilizzare. La sua idea è “un esercito con una bandiera, un vecchietto e tutti gli altri giovani”.



Le frecciate che dallo stesso palco aveva lanciato Raffaele Fitto gli sono scivolate addosso. L’ex enfant prodige della politica pugliese aveva chiesto una classe dirigente scelta dal basso, e non dall’alto. Quasi un disco rotto, che per l’ennesima volta non ha fatto breccia dalle parti del leader di Forza Italia.



Tanta ostinata determinazione è stata alimentata in Berlusconi dalle notizie che negli ultimi giorni stanno venendo dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo. Dalle parti di Arcore si è diffusa la convinzione che il ricorso relativo al processo Mediaset che i giudici internazionali hanno deciso di esaminare sarà accolto, facendo crollare come un castello di carte tutto il lavoro della Procura di Milano. Berlusconi ai suoi fedelissimi riuniti in riva al Lago di Garda ha manifestato la certezza che la Corte annullerà la sentenza che ne ha fatto “un martire”, aprendo la strada al ritorno alla sua piena agibilità politica. Entro dicembre, assicura.



Un nuovo leader, dunque, non serve. C’è sempre quello vecchio, che funziona ancora piuttosto bene. Il difficile sarà però rimettere insieme i cocci di un partito e di un’area politica allo sbando. Tanti i fronti aperti, forse troppi, figli di un lungo periodo di inattività e di indecisione politica.

Dentro Forza Italia la contestazione a una linea politica troppo schiacciata sul governo ha raggiunto il livello di guardia. Da una parte Brunetta, che si dice pronto a votare la fiducia a Renzi sulla riforma del mercato del lavoro, se sull’articolo 18 dovesse andare in mille pezzi il Pd, dall’altra il solito Fitto e molti altri che vorrebbero organizzare un’opposizione seria e credibile all’esecutivo.

A quest’area critica Berlusconi spiega di non essere la stampella di Renzi, di non essere nemmeno del tutto soddisfatto da quanto sta emergendo in tema di riforme costituzionali, anche se non si può dire no, nel superiore interesse del paese. Ma con un sano realismo il leader d Forza Italia ragiona che bisogna muoversi con cautela. Una fine anticipata della legislatura in questo momento va scongiurata, anche perché lui è ancora fuori gioco, almeno sino a fine anno, e manca di conseguenza un candidato premier.     

A tavola spiega che le elezioni con il sistema figlio della sentenza della Corte costituzionale non sarebbero uno scenario auspicabile, ma consentirebbero a Forza Italia di essere l’interlocutore privilegiato di Renzi, che con quel sistema non potrebbe stravincere. E che il premier pensi seriamente alle elezioni Berlusconi non se lo nasconde. Ma proprio per questo vuole giocarsi sino in fondo la possibilità che la sua Forza Italia sia determinante. Sulle riforme oggi, come in un futuro parlamento domani.

L’incognita maggiore però è costituita dallo stato dei rapporti con gli alleati di centrodestra. Sarebbe meglio parlare di ex alleati, visto che questi rapporti proprio non ci sono. Berlusconi sabato allo stadio ha provato a convincere Salvini a dare una mano nella complicata vicenda dell’elezione dei giudici costituzionali, ricevendone un netto rifiuto. Da Cittadella il leader leghista è stato tranchant: se c’è Alfano non c’è la Lega, annunciando una grande manifestazione contro “Mare nostrum” e contro l’immigrazione clandestina per metà ottobre a Milano. E Giorgia Meloni si è accodata spiegando che se si vuole essere di centrodestra, non si può fare la stampella del centrosinistra. Lega e Fratelli d’Italia, dunque, in questo momento alternativi a Ncd, da cui non passa giorno senza che partano anatemi contro i populisti di casa nostra. Le elezioni amministrative di primavera sono alle porte e le carezze di Toti (“Maroni sa che 9 consiglieri di Ncd sono decisivi per la sua maggioranza”) potrebbero non bastare.

Tra Scilla e Cariddi, quindi, la navigazione per Berlusconi si preannuncia tutt’altro che tranquilla nei prossimi mesi. Lui è sicuro del rilancio, e conta sul suo personale carisma per rimanere al centro della scena politica nazionale. Ma navigare fra una coalizione moderata all’anno zero e un partito che ha bisogno praticamente di una rifondazione non sarà impresa facile. Lì si vedrà se la sua stella saprà davvero tornare a splendere (come lui è convinto), oppure se continuerà il lento offuscamento che ha conosciuto negli ultimi mesi.