“Io rispetto tutte le idee, rispetto le idee del sindacato, compromesso non è una parola cattiva ma in questo caso il compromesso non è la strada. Questo non è il momento del compromesso ma è il tempo del coraggio”. Lo ha detto il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, intervistato da Bloomberg tv nel corso della sua missione negli Stati Uniti. “Se non sarò capace di cambiare l’Italia allora non potrò continuare la mia carriera politica”, ha aggiunto il premier. Ne abbiamo parlato con Edward Luttwak, economista e politologo naturalizzato statunitense, dopo avere vissuto a lungo in Italia.
La passerella americana di Renzi è solo una questione di immagine o anche di sostanza?
Renzi è visto in America come il primo presidente del Consiglio italiano che ha tentato veramente di cominciare a cambiare le cose, a partire dalla riduzione del peso schiacciante dello Stato, molto costoso e ingombrante, che paralizza i cittadini. Gli altri hanno parlato, Renzi agisce. D’altra parte Renzi è visto come una persona che sorride molto in una situazione che per gli italiani è estremamente triste, per una disoccupazione sempre più atroce e per il debito pubblico dell’Italia che sta diventando sempre di più come quello dell’Argentina, cioè non ripagabile. Questo contrasto per certe persone è allarmante. Nello stesso tempo c’è un’altra contraddizione, quantomeno apparente, quella tra la gravità della situazione e la leggerezza delle sue nomine. Ragazzine carine con pochissima preparazione sono scelte come ministri.
Il Jobs Act rappresenta una prova di forza decisiva per Renzi. E’ la riforma giusta?
La riforma giusta in Italia consisterebbe nel copiare il modello Cameron. Gli inglesi sono andati in pochissimo tempo da disoccupazione e crescita zero a una crescita vigorosa. L’offerta di posti di lavoro nel Regno Unito è tale da attrarre moltissimi italiani. Nel nostro Paese i laureati si rifiutano di accettare lavori che qui fanno solo gli extracomunitari, ma poi vanno a Londra per fare mestieri umili come lavare i gabinetti. Tutto ciò è stato creato in Inghilterra attraverso un semplice metodo, tagliare le tasse, reso possibile dal licenziamento in massa di mezzo milione di dipendenti pubblici dimezzando ogni ufficio. Questo Cameron prima lo ha attuato, e poi si è preoccupato degli scioperi dei sindacati. In questo modo il Regno Unito si è salvato, adesso qualcuno deve salvare l’Italia.
Siamo alla vigilia di una nuova crisi italiana come quella del 2011?
C’è una differenza rispetto al 2011, cioè manca la voce dei mercati. Proprio per la situazione globale di deflazione, oggi non c’è una pressione sui buoni del Tesoro italiani come tre anni fa. Le nostre emissioni però non sono sostenute dalle colonne di cemento della ripagabilità, ma solo da nuvole e vaghe promesse. Il fatto è che con un debito pubblico di 2mila miliardi l’Italia dovrebbe innestare surplus e avanzi di bilancio da 50 miliardi.
Ma…
Poiché però ciò è del tutto impossibile, la situazione da un punto di vista oggettivo è ancora la stessa di quando è caduto Berlusconi. Con la deflazione globale non c’è però nessun interesse a fare la due diligence all’Italia. Il valore reale di tutte le emissioni del Tesoro italiano è il valore di tutti gli avanzi di bilancio che l’Italia può avere, scontato del tasso d’interesse. L’Italia potrebbe sostenere un debito pubblico pari a 700 miliardi, non pari a 2mila miliardi.
In fondo il Giappone non ha un rapporto debito/Pil ancora più elevato del nostro?
Il Giappone non è assolutamente nella stessa situazione dell’Italia, per il semplice fatto che in Giappone il debito pubblico è il risultato di investimenti in infrastrutture che permettono all’economia giapponese di essere così produttiva, tanto che la disoccupazione giovanile per esempio è praticamente inesistente.
(Pietro Vernizzi)