“Serve più democrazia nel partito. L’Italicum va cambiato, e segreteria e direzione del Pd devono riacquistare le loro piene funzioni”. E’ la richiesta di Miguel Gotor, senatore del Pd, in un momento di grande fermento nei gruppi parlamentari del principale partito di centrosinistra. In queste ore Pier Luigi Bersani e altri esponenti della sua area stanno elaborando un piano d’azione per le prossime settimane. L’obiettivo è lanciare una sfida alla maggioranza del Pd su temi chiave come legge elettorale, spending review e lavoro.
Senatore Gotor, quali sono i temi sui quali vi contrapponete a Renzi?
Non si tratta di contrapporsi a Renzi, ma di definire un sistema politico e istituzionale che possa funzionare bene per i prossimi anni. Una democrazia rischia di perdere credibilità se il Parlamento è composto da un Senato delle autonomie composto da eletti di secondo grado e una sola Camera politica di nominati. Occorrerà quindi intervenire con una correzione sull’Italicum perché quando è stato licenziato dalla Camera con le liste bloccate nessuno poteva prevedere che il Senato delle autonomie sarebbe stato eletto in modo indiretto. Il no alle liste bloccate è la posizione di tutto il Pd, e non solo della minoranza. Per anni abbiamo detto che quello era l’aspetto peggiore del Porcellum, e ora fingiamo di dimenticarcene. Peraltro, non esiste nessun documento del partito o dei candidati alle Primarie del 2013 in cui si opta per le liste bloccate. La nostra proposta, quindi, non è in contrapposizione a Renzi, perché siamo sicuri che anche il segretario è contrario alle liste bloccate.
Non rischiate di passare come la parte più vecchia del partito e con un programma retrò?
Se si esce dagli schematismi o dai pregiudizi converrà che quanto ho detto non è vecchio né retrò, ma semplicemente ragionevole. Non c’entra niente il vecchio e il nuovo, ma è in gioco un’idea di democrazia a livello delle istituzioni e del partito. Nel momento in cui si ha una sola camera politica, bisogna restituire ai cittadini il diritto di scegliere i loro rappresentanti. A mio giudizio il modo migliore sono i collegi uninominali, non le preferenze, ma se necessario sono diporto anche ad accettare le preferenze. E’ giusto dialogare con le altre forze politiche, ma non si capisce perché Verdini e Berlusconi debbano avere il diritto di veto. Ciò non è giustificato dai rapporti di forza né dai numeri e sarebbe in ogni caso consigliabile partire da un accordo di maggioranza. Forza Italia si è opposta ai collegi uninominali e alle preferenze: non si capisce perché possano dire due no e il Pd, che è il più grande partito italiano, non possa dirne nessuno. Forse le liste bloccate corrispondono all’idea di democrazia di Verdini e di Forza Italia, ma non deve essere necessariamente anche la nostra idea, soprattutto dopo la riforma del Senato che ha abolito la rappresentanza diretta dei senatori.
Secondo lei si può fare insieme il segretario del partito e il capo del governo?
Tecnicamente e formalmente sì, perché lo Statuto del Pd lo prevede, anche se bisogna vedere se alla lunga può funzionare sul piano politico. Ci sono dei limiti oggettivi da questo punto di vista, perché il partito smette di essere un luogo di discussione ed elaborazione, mentre sarebbe opportuno che svolgesse questa funzione ed è costretto ad acconciarsi automaticamente alla volontà del governo, che può essere condizionata anche da altri fattori. Dopo le Primarie, la segreteria del Pd è stata convocata un paio di volte all’alba per fare un po’ di scena, ma da quando Renzi è al governo è stata congelata e i membri che adesso svolgono un’altra funzione non sono stati ancora sostituiti. La ritengo un’anomalia e un fatto sbagliato perché tutto ciò produce un impoverimento del modo di stare insieme di un partito.
Ma c’è democrazia interna al partito oppure no?
I gruppi parlamentari si convocano e discutono, mentre ho l’impressione che ci sia una maggiore difficoltà a farlo nei gruppi dirigenti del partito. Le direzioni, ad esempio, anziché essere dei momenti di discussione e di confronto, sono delle platee funzionali ad esprimere un messaggio in streaming verso l’esterno. Un partito di solito non funziona in questo modo. Ciò non significa che non ci sia democrazia, ma che gli organi dirigenti dovrebbero riunirsi per discutere ed elaborare una linea politica. Quanti rispondono citando il numero di direzioni che sono state convocate fingono di non vedere il problema e forniscono una risposta burocratica e ipocrita a un nodo politico evidente.
I renziani vi accusano: “Se fosse per voi, il partito sarebbe al 12% anziché al 41%”. Lei che cosa risponde?
Sto ai fatti. Con i risultati conseguiti nel 2013, la coalizione “Italia Bene Comune” ha sfiorato il 30% e ha portato al governo prima il vicesegretario del Pd, Enrico Letta e poi il segretario del Pd Renzi. Ci vorrebbe quindi maggior rispetto e senso dell’equilibrio e minore arroganza. Poi quando ci saranno di nuovo le elezioni politiche vedremo quello che riusciremo a fare: per ora Renzi sta governando grazie ai risultati del 2013 che dunque non sono stati così negativi perché hanno portato per la prima volta il Pd al governo del Paese e gli hanno consegnato un evidente ruolo di perno e di fulcro dell’interno sistema. Non mi sembra poco.
Eppure il risultato delle Europee è stato di gran lunga migliore…
Non disconosco i meriti di Renzi in questo risultato e il ruolo svolto dagli 80 euro che sono stati messi in busta paga nei giorni delle elezioni. Ma le elezioni europee sono avvenute in uno scenario politico radicalmente mutato: il nostro principale competitore, Silvio Berlusconi, stava scontando la condanna ai servizi sociali e Grillo, dopo un anno di deludente attività parlamentare, ha pagato un prezzo vedendo attenuata la sua forza d’urto anti-sistema. Invito inoltre a tenere presente che il 41% delle Europee è stato il prodotto di solo il 58% dei votanti. Di solito alle politiche vota più del 70%, è stato quindi un risultato condizionato dalla forte astensione. Quando si terranno le prossime elezioni nazionali la destra avrà avuto il tempo di riorganizzarsi e il movimento 5 stelle di calibrare di nuovo la sua proposta politica, immagino su una piattaforma populista no-euro e no-immigrati che sarà particolarmente insidiosa. Serve quindi maggiore realismo, anche perché poi i risvegli potrebbero essere bruschi e inaspettati. Per evitarlo l’unica strada possibile è governare bene e con slancio riformatore questo Paese e tutto il Pd, minoranza e maggioranza insieme, sono impegnati in questa sfida in cui è in gioco il destino dell’Italia. Per riuscirvi però non basta un governo autorevole, ma serve anche un partito forte e autonomo che funzioni da pungolo e da stimolo. Per questo il confronto è importante.
(Pietro Vernizzi)