Angelino Alfano, Lorenzo Cesa e Mario Mauro hanno presieduto il primo intergruppo di Nuovo Centro Destra, Udc, Popolari per l’Italia e Scelta Civica dal titolo “Verso la Costituente popolare”. “Da oggi non c’è un governo monocolore Pd, ma un governo che si regge anche su un pilastro popolare, programmaticamente alternativo alla sinistra”, ha sottolineato Alfano, il quale ha proposto di arrivare “subito, già in settembre, a un coordinamento politico di Ncd-Udc-Ppi-Sc”. Abbiamo intervistato il senatore Gaetano Quagliariello, coordinatore di Ncd ed ex ministro delle Riforme.
Partiamo dall’attuale governo di cui Ncd è parte. Che cosa ne pensa delle accuse di portare avanti soltanto una politica degli annunci?
Questo governo non ha fatto poco sul versante delle iniziative concrete. La riforma istituzionale si è mossa, abbiamo approntato lo Sblocca Italia e la riforma della giustizia civile è entrata in vigore con un decreto. Sono state messe in atto politiche per la casa e le infrastrutture, è operativo il primo provvedimento sul lavoro ed è stato siglato il patto della salute. Se mettiamo in fila questi provvedimenti certamente non sono pochi. Il problema è che si riteneva che la crisi fosse alle spalle, e invece si è scoperto che non è così. Ciò rende ancora più necessario un governo per l’Italia, e non si vedono alternative a quello attuale.
Perché l’Italia, governata da Pd e Ncd, non riesce a crescere?
L’Italia non cresce perché ha due problemi strutturali: il debito pubblico più elevato tra i Paesi sviluppati e un contesto istituzionale non adeguato. Per quanto riguarda il debito pubblico si è fatto ancora troppo poco. Il peggioramento del contesto internazionale non può essere letto con la formula “mal comune mezzo gaudio”, perché una delle nostre forze sono le esportazioni, e il fatto che altri Paesi come la Germania abbiano rallentato leva forza a questo settore.
Ieri c’è stato l’intergruppo dei partiti di centro. La nuova legge elettorale consentirà loro di esistere?
Il primo problema non è la legge elettorale ma le politiche. L’Italia ha un’area di governo al cui interno ci sono forze antagoniste, che si sono unite in un momento di emergenza. In questa situazione dobbiamo sempre di più unificare le forze che hanno fatto una scelta di responsabilità e che non sono il Pd, e inoltre dobbiamo dimostrare che queste forze sono autonome e decisive. In alcuni casi ci siamo riusciti, come per quanto riguarda la riforma della giustizia e lo Sblocca Italia, e ora dovremo farlo con ancora più forza. Se ci sono questi due elementi in Italia potranno ripartire un’area popolare e un bipolarismo di tipo europeo.
Fare dell’abolizione dell’articolo 18 la vostra bandiera non rischia di essere un ritorno a battaglie superate?
Il problema non è nominale, ma se il tema dell’articolo 18 non dev’essere un totem è altrettanto vero che non dev’essere nemmeno un tabù. La nostra bandiera è il lavoro, l’occupazione, ed è in questo quadro che si colloca la battaglia per innovazioni che incoraggino le assunzioni e la crescita delle imprese. Le politiche per rafforzare la domanda, con l’abolizione dell’Imu sulla prima casa e gli 80 euro, non hanno funzionato come si deve. E’ necessario quindi che riparta l’offerta, con le imprese che tornano a produrre e a creare occupazione in modo che la gente riguadagni fiducia.
In che modo si possono conseguire questi obiettivi?
Renzi ha parlato di riscrittura dello Statuto dei Lavoratori, e non ha chiuso rispetto all’articolo 18. E’ evidente che se si va in quella direzione l’articolo 18 sarà coinvolto, e il motivo è che ciò può servire all’occupazione.
Che cosa ne pensa della proposta di Fassina di abolire l’obbligo del pareggio di bilancio dalla Costituzione?
Non credo che la soluzione dei problemi oggi possa essere soltanto la flessibilità. Noi abbiamo bisogno di flessibilità, ma dobbiamo anche guadagnarcela dimostrando all’Europa che stiamo facendo la nostra parte, con gli strumenti che abbiamo, per mettere a posto i conti e creare sviluppo. Non è pensabile attuare politiche in deficit. Non ho mai creduto alla distinzione tra rigore e sviluppo, perché è evidente che abbiamo bisogno di rigore, ma affinché quest’ultimo sia conservato nel tempo è necessario che il Paese cresca.
(Pietro Vernizzi)