La candidatura di Romano Prodi rilanciata da Bersani sembrava una boutade, invece potrebbe rivelarsi un inconveniente molto serio per Matteo Renzi alla vigilia di un appuntamento così importante come l’elezione del nuovo capo dello Stato. Massimo Mucchetti, senatore della minoranza dem, non la manda a dire al capo del governo: Renzi dovrebbe spiegare alle Camere cos’ha fatto con il decreto fiscale, e risanare la ferita dei 101 con i quali ha impallinato Prodi nel 2013.
Senatore Mucchetti, il decreto attuativo della delega fiscale arriverà in aula il 20 febbraio, a presidente della Repubblica ormai eletto. Incidente risolto dunque.
No, un momento. Rinviare non ha mai risolto per nulla. E poi non si tratta di un incidente, ma di un problema politico: la governance in seno al governo, il processo decisionale reale nell’esecutivo, che non si risolve in un incontro tra il presidente del Consiglio e il ministro dell’Economia. Il problema che ho posto in un’aula parlamentare va affrontato nelle sedi deputate, che non possono essere sostituite dalle veline ai giornali o dalle interviste in tv.
Cosa farete?
Ho chiesto che Renzi venga a riferire in Parlamento perché non credo, come lui dice, che una sua dichiarazione basti a chiudere il problema. Nella conferenza dei capigruppo al Senato, il ministro Boschi ha escluso che il governo abbia un tal dovere. Nella stessa sede alla Camera, lo stesso ministro si è invece riservato una risposta alla richiesta di audire il ministro Padoan in commissione Finanze. Sarebbe positivo che sciogliesse positivamente la riserva. Ma chi comanda è Renzi. E’ stato lui stesso a dire di aver scritto il famigerato articolo 19-bis.
Riepiloghiamo. Le sue critiche sono più di metodo o di merito?
Molti avevano già formulato critiche di merito. Per lo più sensate. Ma c’era e c’è una questione di metodo che viene prima, perché in democrazia la forma è sostanza. Non è possibile pensare che le decisioni del governo, per loro natura collegiali, siano modificate per iniziativa di un singolo ministro, o del presidente del Consiglio. Tanto più se si considera che la Costituzione non affida all’inquilino di palazzo Chigi i poteri del premier britannico ma quelli di un primus inter pares. Se il presidente del Consiglio deborda è un problema che oggi riguarda il decreto fiscale, domani potrebbe riguardare altre materie. Se vogliano il premierato forte, diciamolo apertamente. Non sarebbe certo una bestemmia, ma a patto di avere un nuovo sistema di guarentigie costituzionali e una legge elettorale garantista.
E nel merito?
Il merito dell’articolo 19-bis non convince. Quando venne fatta la legge delega, se ben ricordo, non si era parlato di depenalizzare la frode fiscale, e mi pare che un governo, nel varare i decreti legislativi di attuazione di una legge delega, non possa uscire dai binari tracciati nella legge. E poi questa norma viola il principio costituzionale dell’eguaglianza dei cittadini davanti alla legge.
Addirittura?
Sì, perché è una norma che fa figli e figliastri tra i contribuenti italiani. Regala la salvaguardia penale dei ricchi a svantaggio dei poveri. Un’azione da Robin Hood alla rovescia. Stabilire che chi evade fino al 3% dell’imponibile, com’era senza nemmeno un tetto monetario, non commette reato, significa che un grade gruppo — Eni, Unicredit, Intesa solo per dirne alcuni — potrebbe senza correre rischi penali accantonare in nero alcune centinaia di milioni l’anno. Se pescata dall’Agenzia delle Entrate, la società pagherà pegno ma gli amministratori no. E sarebbero loro i beneficiari del fondi neri.
Se l’avesse fatto Berlusconi?
Ci sarebbe stata una rivolta, guidata senza dubbio dal centrosinistra. Renzi compreso. Anzi, ricordo che Renzi fu tra quelli che non volevano fare sconti a Berlusconi condannato, quando al governo c’era Letta. E adesso, anche con il rinvio, gli assicura la decadenza delle pene accessorie, tra le quali l’incandidabilità. Non possiamo, come gruppi parlamentari del Pd, cambiare idea a seconda delle utilità personali di un leader ogni tre mesi.
Lei come spiega che una volta scoperto il “trucco” il pensiero di tutti sia andato subito al patto del Nazareno?
Siccome a quel patto non ho partecipato, non mi esercito in dietrologie. Mi pare che bastino le due criticità che ho indicato.
Per il Quirinale Bersani ha detto “ripartiamo da Prodi”. Che senso ha?
La posizione di Bersani, non nuova, è ragionevole. Il Pd, se ripartisse da Prodi, risanerebbe la ferita dei 101 che nel segreto dell’urna liquidarono il professore.
Ma non è acqua passata?
Se le ferite non si risanano, s’infettano. E questo non fa bene.
Voi minoranza dem direste no a un candidato che sia figlio del patto del Nazareno?
Se i Nazareni proporranno una personalità, non importa di quale sesso, di grande autorevolezza politica, che può essere solo frutto di una storia maturata in Italia e all’estero, senza sudditanze verso nessuno, posso votarlo serenamente. Avrebbe le caratteristiche per unire il Paese e aiutare il governo nell’arena mondiale. Se ci venisse proposto un re travicello o una regina della stessa caratura, non darei il mio sostegno.
Sul fatto che un candidato debba essere indicato preliminarmente dal Pd, sarà d’accordo con Renzi, no?
Sì, molto: il Pd ha 450 grandi elettori su un migliaio, di certo non si elegge il presidente della Repubblica contro il Pd. Al tempo stesso dobbiamo pensare a una figura che goda del consenso necessario. Ho letto che la maggioranza di governo più Forza Italia avrebbe 750 voti. Ecco, non vorrei che, per effetto di scelte inadeguate, venisse fuori un presidente con 520 voti. Un’operazione di unità nazionale non può diventare la prevaricazione di una risicata maggioranza, per giunta figlia del Porcellum.
C’è il rischio di rotture trasversali nei gruppi? Già Berlusconi non controlla più il suo partito
Non mi pare giusto ora pensare alle rotture, siamo in una fase che va dedicata alla costruzione di un consenso largo e generoso. E’ la generosità che deve venire in prima battuta da chi regge le fila del gioco. Non credo sia nemmeno nell’interesse strategico di Renzi fare presidente un personaggio incolore.
Se le cose non andassero nel modo auspicato, quello di un’ampia convergenza, o se si arrivasse nel Pd all’imposizione di un candidato dall’alto, voi come anima critica del partito sareste anche disponibili a guardare altrove, verso Sel o M5S?
Guardi, il Pd ha moltissimi voti per eleggere il capo dello Stato, ma non abbastanza. E deve saper guardare a tutto l’arco parlamentare. Occorre un Pd unito, ma per esserlo deve rimarginare la ferita che le ho detto. Quei 101 sono ancora fra noi, per questo il problema va affrontato e risolto in modo adeguato.
Lei parla di una ferita da rimarginare. Politicamente cosa significa?
Ripartiamo da lui e capiremo dove stavano i 101.
C’è l’ipotesi che rispondessero a Renzi…
Molti, e io fra questi, furono sorpresi, quel giorno, nel sentire l’allora sindaco di Firenze dichiarare caduta la candidatura Prodi prima ancora che lo dicesse Prodi stesso o l’allora segretario del partito. Non ha mai spiegato quell’ansia di esternare, lui che non era nemmeno un grande elettore…
(Federico Ferraù)