In Italia e in Francia, nei mesi scorsi le Regioni sono state al centro dell’azione dei governi, nati nei primi mesi del 2014, e del dibattito politico. Tuttavia, in presenza di analogie tra le Regioni dei due Stati, i divari orizzontali in termini di popolazione e di differenze riguardanti le competenze e le risorse fiscali loro assegnate, le scelte recenti dei rispettivi governi sono molto diverse. Il governo Valls, oltre alla riduzione delle spese delle Regioni, ha presentato due progetti di legge, per la delimitazione delle Regioni (riduzione del loro numero) e per la riorganizzazione territoriale della Repubblica (modifica delle funzioni assegnate ai livelli di governo), mentre il governo Renzi ha proposto una riduzione delle competenze delle Regioni nel nuovo Titolo V e nella Legge di stabilità ha tagliato le loro risorse di circa 4 miliardi di euro.



La Francia è composta da 36.700 Comuni, 101 Dipartimenti, 22 Regioni (escluse quelle d’oltremare) e 2.600 Istituzioni intercomunali che esercitano parti di competenze nelle stesse materie e costituiscono la cosiddetta “millefoglie territoriale”. Secondo l’articolo 1 della Costituzione, “l’organizzazione della Repubblica è decentralizzata” (legge costituzionale n. 2003-276) .



A seguito del I Atto della decentralizzazione, voluta dal presidente Mitterand nel 1982, le Regioni sono diventate Collettività territoriali, elette dai cittadini e amministrate da un Consiglio regionale dopo le prime elezioni a suffragio universale del 16 marzo 1986. Dunque sono molto più giovani rispetto ai Comuni e ai Dipartimenti e il loro pieno riconoscimento costituzionale è avvenuto solo con la revisione della Costituzione del 28 marzo 2003.

Le competenze delle Regioni sono aumentate nei decenni successivi, a partire dalla legge del 13 agosto 2004 (II Atto della decentralizzazione). In particolare, la legge del 27 gennaio 2014 ha attribuito alla regione il ruolo di chef de file, in materia di organizzazione dell’azione delle Collettività territoriali, in numerose politiche: governo del territorio, sviluppo economico durevole, protezione della biodiversità, qualità dell’aria, politiche in materia di energia, sostegno all’innovazione, internazionalizzazione delle imprese, intermodalità e complementarietà tra i modi di trasporti, sostegno all’insegnamento superiore e alla ricerca.



Il presidente Hollande ha più volte sottolineato la necessità di raggiungere una dimensione ottimale delle Regioni facendo riferimento ai Lander della Germania, anche se questi ultimi, dopo la riunificazione, presentano ancora significativi divari in termini di popolazione e livello di reddito procapite. Come annunciato in aprile in sede di presentazione del programma di governo all’Assemblea nazionale e al Senato, il Consiglio dei Ministri del 18 giugno 2014 ha approvato il progetto di legge in materia di nuova delimitazione delle Regioni.

Il testo definitivo approvato il 17 dicembre 2014 dall’Assemblea nazionale dispone che dal 31 dicembre 2015 la Carta delle regioni francesi sarà composta da 13 Regioni (Corsica compresa) anziché 22. Sei Regioni non sono state modificate (tra parentesi i dati della popolazione al 1° gennaio 2014): Bretagne (3.217.767), Corse (314.486, che dispone di uno Statuto particolare), Ile de France (11.852.851), Centre (2.556.835), Pays de la Loire (3.601.113), Provence-Alpes-Cote d’Azur (4.916.069); le restanti 7 Regioni sono l’esito degli accorpamenti: Alsace (1.852.325), Champagne-Ardenne (1.336.053) et Lorraine (2.350.657); Aquitaine (3.254.233), Limousine (741.072) et Poitou-Charentes (1.777.773); Auvergne (1.350.682) et Rhone-Alpes (6.283.541); Bourgogne (1.642.734) et Franche-Comté (1.173.440), Languedoc-Roussillon (2.670.046) et Midi-Pyrénées (2.903.420), Nord-Pas-de-Calais (4.042.015) et Picardie (1.918.155), Basse Normandie (1.475.684) et Haute-Normandie (1.839.393).

Se escludiamo la Regione più grande, l’Ile de France della capitale Parigi, e la più piccola, la Corsica, quelle non modificate presentano una popolazione compresa tra 2,5 e 4,9 milioni di abitanti, mentre le 7 nuove Regioni presentano una popolazione media di 5,2 milioni di abitanti.

La taglia delle Regioni risulta modificata in maniera significativa in quanto 5 presentano una popolazione compresa tra 2,5 e 3,6 milioni di abitanti e 7 maggiore di 4 milioni di abitanti (esclusa la Corsica). Dopo la modifica, la popolazione media di tutte le Regioni metropolitane è aumentata da 3.116.761 abitanti a 4.851.560 abitanti (+64,24%), ma se escludiamo dal calcolo l’Ile de France e la Corsica l’aumento del valore medio è pari al 68,63%.

Le numerose modifiche effettuate alla Carta delle regioni durante l’iter legislativo (il numero è passato da 13, a 14, a 15, a 13) evidenziano l’assenza di un progetto del governo fondato su indicatori statistici, economici e finanziari: dunque la scelta ultima è stata essenzialmente politica. Tra le ragioni che hanno reso incerta la collocazione de l’Alsace (1.852.325 abitanti) non possiamo escludere il fatto che ospita le sedi comunitarie europee, mentre l’accorpamento tra la regione Rhone Alpes (“la Lombardia francese”) e la regione Auvergne (1.350.682 abitanti) non è mai stato in discussione nei diversi testi di legge (dati al 1° gennaio 2014).

Tuttavia, il ridisegno della Carta regionale è solo una parte dell’azione del governo Valls verso le Regioni. Infatti, la legge in materia di riforma territoriale della Repubblica persegue tre obiettivi generali: semplificare e chiarire i ruoli delle collettività locali, fare dei territori il motore della crescita economica, rafforzare la solidarietà territoriale.

Oltre alla diminuzione del numero delle Regioni, le questioni più importanti al centro dell’azione del governo Valls riguardano le competenze e le risorse finanziarie, nonché la riduzione del “mille foglie”, la sovrapposizione delle competenze tra livelli di governo territoriale. Il governo Valls riconosce l’esigenza di adeguare le risorse, finanziarie e fiscali, delle Regioni ai nuovi costi determinati dalle nuove competenze, nel quadro di una revisione complessiva delle loro risorse finalizzata a migliorare la loro visibilità e l’efficacia della spesa pubblica. In particolare, Valls ha sottolineato che le risorse finanziarie delle Regioni sono “oramai inadatte” e che “non dispongono quasi più di autonomia fiscale”.

Al decimo congresso dell’Associazione delle Regioni (Arf) che si è tenuto il 9 e 10 ottobre scorsi, i presidenti non hanno contestato la decisione di ridurre il numero delle Regioni, ma hanno posto al governo i seguenti problemi: il finanziamento delle nuove competenze, l’autonomia fiscale, il potere regolamentare di adattare le funzioni al proprio territorio. Il primo ministro Valls (già più giovane consigliere regionale di Francia) nel suo discorso al congresso dell’Arf ha fornito chiarimenti e assicurazioni relative alle nuove competenze e alle risorse finanziarie e fiscali delle Regioni, che “disporranno di nuove competenze e di strumenti per accompagnare la crescita delle imprese, le politiche per la formazione professionale e l’impiego, i trasporti ferroviari, le strade regionali, le infrastrutture aeroportuali e portuali, la gestione dei licei e potranno adottare strumenti di programmazione per garantire la coerenza delle azioni decise dai singoli governi locali in materia di sviluppo economico e governo del territorio”.

In questa direzione ha proposto conferenze periodiche tra Stato e Regioni per definire azioni congiunte sulle politiche per il lavoro dei giovani, la formazione, l’apprendimento, nonché incontri periodici tra Governo e presidenti delle Regioni per costruire nuove politiche e sforzi supplementari per la gestione dei Contratti di Piano Stato-Regioni 2015-2020.

Dunque, il taglio del numero delle Regioni francesi non implica un loro indebolimento all’interno delle collettività territoriali e nei rapporti con lo Stato centrale, in quanto l’azione legislativa complessiva del governo Valls rafforza non solo la dimensione, ma anche il ruolo e la loro l’autonomia nel processo di decentralizzazione.

La decentralizzazione francese senza federalismo offre elementi di riflessione al neocentralismo italiano post-federalismo.

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