“Il vero dilemma rispetto a cui Renzi non ha ancora deciso che cosa fare è quale strategia seguire per l’elezione del Quirinale. Può stringere un accordo con Berlusconi e poi presentare il nome alla minoranza del partito, oppure incominciare dal Pd per poi andare dal Cavaliere. Tra queste due diverse strategie c’è un abisso”. E’ l’analisi di Stefano Folli, editorialista di Repubblica, nel momento in un si attendono le imminenti dimissioni di Giorgio Napolitano. Parlando a Otto e Mezzo a proposito del nuovo presidente, il premier ha detto: “Lo eleggeremo alla quarta votazione. Al primo colpo, no. Dal quarto servono 505 voti. Non ci mettiamo sui primi tre voti con un nome a indebolirlo e impallinarlo”.



Quella di Renzi è un’ammissione di debolezza?

Diciamo piuttosto che è un’ammissione realistica. Renzi si rende conto che non ha la forza per eleggere il presidente nelle prime tre votazioni con l’ampia maggioranza che raccolsero all’epoca Cossiga e Ciampi. Fermo restando l’accordo di fondo con Berlusconi, alla quarta votazione nonostante i franchi tiratori Renzi conta di riuscire a raggiungere la maggioranza assoluta. Il che è un po’ una stravaganza perché se uno fa un accordo largo, come quello tra Pd e Forza Italia, ciò dovrebbe consentire di raggiungere una maggioranza qualificata. Se l’accordo largo è una risposta al fatto che c’è una rivolta dentro ai partiti, ci troviamo davanti a qualcosa in qualche modo inedito.



Bersani ha riproposto la candidatura di Prodi. Che senso ha la sua uscita in questo momento?

Candidando Prodi, Bersani sta dicendo a Renzi che deve negoziare qualcosa con la maggioranza del partito. E’ su Prodi che il Pd si spaccò nel 2013, portando al siluramento di Bersani. Dal momento che molti sospettano che sia stato Renzi a dare una mano a una parte consistente dei 101 franchi tiratori contro Prodi, Bersani ora dice: “Dobbiamo ripartire da quel nome”.

Prodi potrebbe raccogliere i voti di sinistra Pd, Sel e transfughi dell’M5S?

Sì, e in questo caso si potrebbe creare una situazione inaspettata. Questo è uno dei passaggi delicati di questa vicenda, perché una volta che il presidente Napolitano si sarà dimesso si entrerà nel vivo.



A quel punto che cosa potrebbe accadere?

L’assemblea dei gruppi del Pd, cui Renzi ha formalmente delegato l’individuazione dei candidati, potrebbe presentare un nome secco o una rosa. Se dovesse presentare solo il nome di Prodi, a quel punto per Renzi diventerebbe difficile dire no.

E se si trattasse di una rosa?

In questo caso ci sarà sicuramente un “petalo” più importante degli altri. In questo secondo caso sarebbe però Berlusconi a dire quali sono i nomi che gli vanno bene e quali quelli che gli vanno male. Poiché uno dei “petali” della rosa sarà Prodi, la minoranza del Pd potrebbe dire: “Noi non possiamo farci mettere un veto da Berlusconi”.

Ma davvero secondo lei deciderà l’assemblea del Pd?

L’assemblea è un po’ una finzione, perché è Renzi che tiene in mano i fili della vicenda. La vera domanda è se il segretario del Pd abbia interesse a stringere un accordo preliminare con la minoranza interna. Oppure se gli convenga di più stringere in prima battuta un accordo con Berlusconi, e poi chiedere il sostegno della minoranza Pd. Il problema è che in questa fase nemmeno lo stesso Renzi sa quale strategia scegliere.

 

Renzi sarebbe disposto a spaccare il Pd per salvare il Patto del Nazareno?

Sul piano della logica politica che conosciamo la risposta dovrebbe essere no. In tutti i passaggi politici dell’ultimo anno, Renzi però ha fatto vedere che non si fa condizionare dalle minoranze. In questo momento il premier tiene fin troppo al Patto del Nazareno.

 

In che senso lei ha detto che Renzi non sa ancora che cosa fare?

I due binari sono quelli che ho indicato. Il premier deve trovare il modo per non spaccare il suo partito, e al tempo stesso non compromettere il Nazareno. Berlusconi voterà il candidato che presenterà Renzi, ma quest’ultimo non può dare alla minoranza del Pd l’impressione di avere deciso tutto con Berlusconi e che al partito spetta solo una ratifica formale.

 

E se alla fine Renzi candidasse proprio Bersani?

Non credo che lo farà, a meno che si trovi con le spalle al muro, ma per ora sente di avere in mano le carte del gioco. In parte bluffa, ma non vuole dare a nessuno l’impressione di essere in difficoltà. Se fosse eletto al Quirinale, Bersani diventerebbe l’antagonista di Renzi, anche perché l’ex segretario rappresenta tutta una tradizione che il premier vuole superare.

 

Il nuovo presidente potrebbe essere Luciano Violante?

Perché no, Violante sarebbe un nome che risponde ai requisiti, anche se finora è passato molto in secondo piano. Non escludo affatto che possa essere lui il successore di Napolitano. Il punto di cui tenere conto è che tradizionalmente al Quirinale non vanno i leader politici. Bersani è stato segretario del Pd, e finora c’è stato un solo caso di un leader politico che è diventato presidente della Repubblica, Giuseppe Saragat.

 

Come vedrebbe invece delle figure più “europee” come Draghi o Cassese?

Tutto è possibile, ma è ancora molto presto per dirlo. In questa fase la vera questione è quale strategia seguirà Renzi. Abbiamo visto inoltre che Draghi si è chiamato fuori, e in questa fase inoltre non è sicuramente un nome sul tavolo.

 

(Pietro Vernizzi)