Palazzo Madama andrà giovedì al voto sull’Italicum, con il governo che mira a stringere i tempi e ad approvare la legge elettorale prima che il Parlamento sia convocato in seduta comune per scegliere il nuovo presidente della Repubblica. Lunedì in Senato è proseguita la discussione sull’Italicum. Due i principali nodi da sciogliere: i capilista bloccati e il premio di maggioranza al singolo partito anziché alla coalizione. Ne abbiamo parlato con Alfredo D’Attorre, deputato del Pd.
Che cosa ne pensa dell’attuale testo della legge elettorale?
Trovo molto ragionevoli alcuni emendamenti presentati al Senato, che tra l’altro hanno ricevuto un sostegno trasversale. Il meccanismo dei capilista così com’è non funziona, è una presa in giro perché lascia integralmente nelle mani dei capipartito la nomina dei parlamentari, a eccezione di un solo partito, quello che prenderà il premio di maggioranza. Per tutti i partiti tranne uno rimarremmo sostanzialmente nel regime del Porcellum. Ciò è insostenibile sia sul piano politico che su quello costituzionale.
Come valuta il premio alla lista anziché alla coalizione?
Sono contrario alle coalizioni forzate, costruite solo per ottenere il premio di maggioranza. Un punto di mediazione ragionevole potrebbe essere quello per il quale i partiti vanno da soli al primo turno e poi c’è la possibilità di fare degli apparentamenti per il ballottaggio.
Le soglie d’accesso così come sono state rimodulate possono funzionare?
E’ bene che sia stata eliminata la soglia dell’8% per chi non era coalizzato, che era fuori da qualsiasi orizzonte di democraticità e costituzionalità. Adesso forse con il 3% si è arrivati all’eccesso opposto. Un punto di equilibrio potrebbe essere quello di assumere per tutti la soglia del 4% che vale già per le elezioni europee.
Renzi sta cercando di ricucire i rapporti nel Pd o vuole andare avanti a testa bassa?
Allo stato non vedo segni di dialogo, anzi abbiamo introdotto un altro macigno, quello del decreto fiscale, che rischia di rappresentare un enorme regalo non solo per Berlusconi ma anche per i grandi evasori. E’ importante che Renzi dia un segnale chiaro, a differenza di quanto ha fatto finora, e risolva la questione nei prossimi giorni, prima dell’elezione del capo dello Stato. Non possiamo arrivare a un appuntamento cruciale per la legislatura con un’ombra del genere che si proietta su di noi, e l’idea che questa questione è lasciata aperta per costruire un accordo con Berlusconi.
La battaglia della sinistra Pd sulla legge elettorale è solo simbolica o pensate di vincere?
Sia sulla legge elettorale al Senato sia sulla riforma costituzionale di cui stiamo discutendo alla Camera, bisogna lasciare al Parlamento lo spazio per fare il suo lavoro. Entrambe sono materie squisitamente parlamentari su cui il governo non può porre una questione di fiducia. Sono convinto che il Parlamento, sia sulla legge elettorale sia sulla riforma costituzionale, possa e debba introdurre le necessarie correzioni.
Siete disposti a portare avanti la vostra battaglia fino a rompere il Pd?
Ci sono le condizioni per evitare una rottura. Naturalmente ci deve essere da parte del segretario-premier una capacità di ascolto e di mediazione. Il punto è che Renzi è chiamato a scegliere. Deve decidere se mettere davanti l’unità e la forza del Pd, o se invece si fida di più di Berlusconi e del Patto del Nazareno. Cioè se sul successore di Napolitano al Quirinale intende sentire prima l’assemblea del Pd o prima il leader di Forza Italia.
Sentendo prima l’assemblea del Pd, Berlusconi finirebbe però per avere l’ultima parola…
No, perché Berlusconi non sarebbe l’unico interlocutore ma dovremmo discutere anche con le altre forze politiche sia di maggioranza sia di opposizione inclusi Sel, M5S e Lega nord. Bisognerebbe tenere conto del parere di Berlusconi come dell’opinione delle altre forze politiche, e vedere qual è il candidato su cui si registra il consenso più largo.
Per Renzi di certo il presidente della Repubblica non sarà eletto alla prima votazione.
Non capisco perché Renzi dica che dobbiamo per forza aspettare addirittura la quarta votazione. Se l’obiettivo è quello di eleggere un presidente di garanzia che parli a tutti gli italiani e su cui coinvolgere tutte le forze politiche, è più logico e coerente provare a farlo fin dalla prima votazione. Se decidiamo fin dall’inizio di aspettare la quarta non diamo l’idea di voler parlare con tutti, ma solo con “qualcuno” molto ben determinato, cioè ancora una volta Berlusconi.
Quanto è avvenuto nel 2013 non dimostra che è impossibile che l’M5S voti il candidato del Pd?
Sono passati due anni e stavolta l’M5S sarà costretto dai fatti a scendere sul terreno del confronto politico. In ogni caso un quorum ampio attorno a una figura autorevole può essere raggiunto con o senza il coinvolgimento dell’M5S. Non dobbiamo dare alibi e dobbiamo spingere i Cinque Stelle a misurarsi finalmente con la responsabilità che gli elettori hanno dato loro.
Lei inserirebbe Romano Prodi nella rosa dei candidati?
Prodi è una figura che ha quei requisiti essenziali che deve avere il presidente della Repubblica: autonomia, autorevolezza, esperienza internazionale, capacità di accompagnare il Paese in un confronto nuovo e diverso con l’Europa.
Quali altri nomi vicini al Pd avrebbero la forza per sfidare Prodi?
Non è il momento adesso di arrivare ai nomi. Il problema è metterci d’accordo sul profilo della personalità che dobbiamo proporre e sul metodo. Se condividiamo criteri e metodo, la persona si può trovare, e possiamo perfino avere l’obiettivo di eleggere il presidente fin dalla prima votazione.
(Pietro Vernizzi)