“Il prossimo inquilino del Quirinale sarà una figura legata alla prima Repubblica e che viene dalla Dc o dal Pci. Tra i nomi con tutte le caratteristiche per svolgere questo ruolo ci sono certamente Piero Mazzarella, Piero Fassino, Walter Veltroni e Pierluigi Castagnetti”. Lo afferma Antonio Polito, editorialista del Corriere della Sera, in una fase cruciale della politica italiana in cui si incrociano la fine del semestre di presidenza dell’Unione Europea e le imminenti dimissioni del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.



Renzi ha chiesto un applauso per il presidente della Repubblica. Napolitano si meritava quell’applauso, ma il nostro semestre Ue va applaudito?

Per la Ue non è stato un semestre memorabile, ma è da molto tempo che non avviene un semestre memorabile. Non darei la responsabilità esclusiva al governo italiano per il modo in cui lo ha condotto. Ci sono stati dei successi evidenti, come la nuova legislazione per il “Made in”. E purtroppo il semestre si chiude anche con la ripresa formidabile del terrorismo e della mancanza di sicurezza.



Renzi ha parlato di un cambiamento per la crescita che con la Commissione Juncker c’è stato, anche se nei fatti “ancora non si vede”. La battaglia contro l’austerità è vinta o persa?

Lo stesso Renzi dice che i fatti non si vedono. C’è una retorica in parte nuova e ogni tanto spunta la parola flessibilità. Anche queste novità introdotte dalla Commissione, che pure servono a dare agli Stati la possibilità di una deviazione temporanea dal percorso di rientro verso il pareggio di bilancio, sono minimi e soprattutto molto condizionati.

Renzi si è comportato più da leader dei socialisti europei o da amico della Merkel?



La famiglia politica di appartenenza conta molto poco nel Consiglio Ue. Contano molto di più gli interessi nazionali e i compromessi che si fanno a questo scopo.

Renzi non è stato capace di utilizzare i fondi europei, rinunciando a cofinanziare 25-30 miliardi. Che cosa pensa della efficacia della nostra azione di leadership?

Alcuni fondi di cofinanziamento sono stati tolti, per esempio quelli destinati al Mezzogiorno, per finanziare gli sconti fiscali sul nuovo contratto di lavoro. Ma il problema italiano è che molto spesso le Regioni non sanno utilizzare i fondi europei. Questo non mi sembra sostanzialmente cambiato.

Passiamo invece all’elezione del nuovo presidente della Repubblica. Secondo lei quale strategia adotterà Renzi?

La situazione da questo punto di vista non mi sembra eccessivamente complicata. Due anni fa il Parlamento era privo di una maggioranza di governo. Oggi c’è una maggioranza politica e in più c’è il Patto del Nazareno, cioè un accordo con Berlusconi. Abbiamo quindi una maggioranza potenziale amplissima, che raggiunge i 700 grandi elettori, e non vedo quindi il rischio di un disastro come nel 2013. Dal punto di vista del metodo, Renzi è tenuto in prima battuta a fare il plenum dei voti del Pd. Punterà quindi a un accordo interno su un nome che sia presentabile a Berlusconi.

 

Per Renzi conta di più l’unità del Pd della continuità del Patto del Nazareno?

Non è che una cosa conti di più dell’altra, ma la prima è la precondizione della seconda. L’unità del partito è cioè indispensabile per poter pesare anche nei rapporti con gli altri. Se il resto del Parlamento capisce che Renzi non controlla gli elettori del Pd, la sua capacità di mediazione, di pressione e di alleanze si riduce in modo formidabile. Maggiore è invece il numero di grandi elettori del Pd che lo seguono, e più il premier sarà forte anche nel trattare con gli altri partiti.

 

Quali figure possono unire sinistra Pd e Berlusconi?

Il profilo che si adatta di più alle attuali necessità è quello di un “democristiano” o forse anche di un “comunista”. Con Napolitano esce di scena la generazione dei leader politici che hanno partecipato alla ricostruzione dell’Italia nel Dopoguerra. Gli stessi Ciampi, Scalfaro, Cossiga e Pertini appartenevano a una generazione con le radici nella Prima Repubblica e nel patto costituente. Questa generazione non c’è più, e bisognerà quindi trovare un nome che sia il più possibile in collegamento con questa generazione.

 

Una sorta di “cerniera”?

Sì, qualcuno quindi che abbia partecipato alla vita politica già da prima del ventennio del bipolarismo. Tutte le figure politiche emerse in questo ventennio sono divisive, si tratta di persone che hanno fondato la loro carriera politica sullo scontro. Il capo dello Stato deve rappresentare invece l’unità nazionale per necessità.

 

Lei chi vedrebbe bene al Quirinale?

Le personalità più probabili sono quelle che vengono dalla Dc o dal Pci, e per essere tali devono essere anche inevitabilmente figure di secondo piano, ma non per questo di minor valore. Mi riferisco a Mazzarella, Fassino, Veltroni e Castagnetti, ma altri ce ne potrebbero essere. Renzi vuole comunque qualcuno che non faccia troppa ombra alla sua persona e al suo potere, e tenterà quindi di indirizzare la scelta verso uomini e donne che non facciano più politica attiva da tempo.

 

(Pietro Vernizzi)