“L’Italicum rende le cose più semplici alla minoranza Pd perché le spiana la strada verso la scissione. E se anche non dovesse consumarsi a tutti gli effetti, si realizzerebbe comunque in modo silenzioso condizionando così i destini del resto della legislatura”. Lo afferma Antonio Polito, editorialista del Corriere della Sera, all’indomani di una giornata rovente per il dibattito sulla legge elettorale, con reciproci scambi di accusa tra l’opposizione interna e l’ala del partito più fedele al segretario Renzi.



Quali saranno le ripercussioni politiche del dibattito sull’Italicum?

L’Italicum ha aperto una ferita abbastanza profonda tra la minoranza Pd e Renzi. Ci sono stati dei fatti simbolicamente molto forti, come l’abbandono dell’aula dove si svolgeva l’assemblea davanti agli occhi del presidente del consiglio, o i 140 parlamentari che si sono autoconvocati. Nella votazione sull’Italicum la minoranza Pd ha abbandonato il governo anche a costo di rendere i voti di Berlusconi determinanti per il risultato.



Ora che cosa accadrà?

Tutto questo ci fa pensare a un evento di grande rilievo. Bersani ha detto esplicitamente: “O ci rispettate o è finita”. La prima ripercussione possibile è che il dibattito sull’Italicum ha alzato di molto il prezzo dell’unità del Pd nelle prossime votazioni sul presidente della Repubblica. A questo punto se il capo dello Stato non sarà scelto da Renzi insieme alla minoranza del Pd, bensì soltanto insieme a Berlusconi, nel segreto dell’urna potremmo avere una vera e propria “scissione silenziosa”, che potrebbe contare anche su 150 parlamentari.

Quale seguito ha la sinistra Pd nella base del partito?



Nella base del partito prevalgono sensazioni di incertezza e sconcerto. L’elettorato del Pd in Emilia-Romagna è quello più fidelizzato e politicizzato, ma la prevalente estensione alle Regionali ci fa capire che la reazione prevalente è quella di un distacco dalla politica. La base Pd del resto ormai conta poco, in quanto non ci sono più molte occasioni in cui è chiamata a decidere. La base delle Primarie del resto è molto più ampia di quella degli elettori del Pd e spesso è anche molto diversa.

Secondo lei andiamo verso una scissione?

Nella minoranza del Pd ci sono due pulsioni. Una, che corrisponde alla linea di D’Alema, spinge ad andarsene perché reputa ormai impossibile la convivenza con Renzi e considera che il segretario ha cambiato a tal punto che il partito non è più di sinistra. La linea di Bersani è invece più intenzionata a rimanere nella “ditta” e a battersi al suo interno. Bersani lo ha detto chiaramente: “Tocca a Renzi dirci se vuole ripartire dall’unità del Pd”. Cioè se le mosse di Renzi sono tali da convincere anche i più riottosi che non c’è possibilità di stare insieme l’ipotesi di una scissione è possibile. Anche se tutte queste considerazioni vanno poi riportate alla convenienza. L’Italicum, con uno sbarramento pari solo al 3%, rende possibile la nascita di nuovi raggruppamenti.

 

Parliamo del Quirinale. Dalla quarta votazione in poi Renzi e Berlusconi saranno in grado di imporre il loro candidato?

Non è affatto detto. A livello ipotetico la maggioranza del Patto del Nazareno supera i 700 grandi elettori, e dalla quarta votazione ne bastano 505. C’è quindi un margine ampio, pari a quasi 200 elettori. Se queste minoranze non riescono ad arrivare a 200, non saranno determinanti. Se sfiorano però quella cifra allora possono diventare pericolose, perché poi c’è sempre qualcuno che ha il mal di pancia anche negli altri partiti. A questa minoranza combattiva si potrebbero quindi aggiungere altri voti. In ogni caso anche se Renzi e Berlusconi con una prova di forza riuscissero a imporre il loro uomo o la loro donna, finirebbero poi per pagarne il prezzo nel prosieguo della legislatura.

 

(Pietro Vernizzi)