“Come successore di Napolitano i partiti eleggeranno un presidente in grado di rappresentare un minimo comun denominatore in Parlamento: Mattarella o la Finocchiaro”. Lo afferma Calogero Mannino, per cinque volte ministro della Democrazia cristiana, nonché parlamentare dal 1976 al 2013. Secondo Mannino, “Prodi non sarà eletto per una semplice ragione: completerebbe la transizione dell’Italia verso il semi-presidenzialismo iniziata da Napolitano. Proprio ciò che vorrebbe il popolo italiano ma non i partiti”.



Mannino, come si uscirà dalla confusione in cui versano i partiti in vista dell’elezione per il Quirinale?

La confusione ha in sé la via d’uscita. Tutti i candidati di cui si parla sono validi, chi per un verso e chi per un altro. Il punto è accertare qual è l’indice di gradimento massimo che sia possibile realizzare, tenuto conto dell’attuale situazione parlamentare. Cioè non soltanto di una maggioranza che non è auto-sufficiente, ma anche del fatto che il Pd e Forza Italia sono dilacerati. All’esterno dell’area di governo e di maggioranza atipica c’è poi la situazione dei Cinque Stelle, che questa volta cercheranno di contare, mentre la Lega ci proverà ma riuscirà a contare di meno.



Quali tra gli eventuali candidati hanno le maggiori probabilità di farcela?

Se tiro fuori i dadi, i due candidati più forti per me sono la Finocchiaro e Mattarella. Sono due candidati diversi, ma entrambi corrispondono all’esigenza di cercare e trovare il maggiore gradimento possibile.

Perché ritiene che Mattarella ce la possa fare?

Mattarella sarebbe un presidente di garanzia, per come lo conosco io sarebbe una figura straordinaria ed eccellente, perché è dotato di virtù politiche e di assoluta fedeltà alla Costituzione in uno spirito garantista.

E la Finocchiaro?

La Finocchiaro ha le stesse qualità di Mattarella, cui si aggiunge la sua origine dal Partito Comunista e dal Pd, che può essere una qualità ma anche un limite. In tutta la sua esperienza ha dimostrato di avere sufficiente forza intellettuale e morale per porsi come figura che può mettere sulle sue spalle la responsabilità della presidenza della Repubblica.



Mattarella e Finocchiaro potrebbero unire Berlusconi e sinistra Pd?

Sì, perché rappresentano il minimo comun denominatore sul quale può concentrarsi il consenso più ampio possibile. Al contrario di altri candidati che hanno il massimo comun divisore.

Che cosa ne pensa della candidatura di Amato?

Giuliano Amato assomma in sé tante qualità, ma è il candidato che presenterebbe i maggiori problemi da un punto di vista parlamentare.

A chi non piacerebbe?

A mio giudizio non piacerebbe ai renziani e alla metà dissidente di Forza Italia. Se piacesse a questi due avrebbe maggiori probabilità di farcela, perché Amato può contare su altre qualità rispetto a Mattarella e alla Finocchiaro. Ha un’esperienza politica e di governo e una dimensione più complessiva, istituzionale e politica. E’ una figura conosciuta, con relazioni personali a Washington, Londra e Berlino. Amato però è quello che allo stato attuale non coagula il consenso necessario.

 

La sinistra Pd alla fine potrebbe votare con Sel e transfughi dell’M5S, contro il candidato di Renzi e Berlusconi?

Se si va a una contrapposizione frontale, poi per l’esperienza che abbiamo avuto in passato spunterà un terzo presidente. In caso di rottura, quando si dovrà scegliere nella votazione segreta spunterà un Riccardo Muti. Nel pieno del contrasto e della dilacerazione, si può scegliere solo un presidente della Repubblica che sia fuori da ogni logica di schemi e schieramenti e dalla stessa politica, ma dentro al cuore del Paese.

 

Lei prima non ha citato Prodi perché lo esclude a priori?

Rispetto a Prodi avrebbe molte più possibilità di farcela Amato, che però come abbiamo detto non ce la farà mai.

 

Intende dire che Prodi è la figura che divide più di tutti?

Se guardiamo all’interno del Pd, Bersani lo ha rilanciato, ma D’Alema e Renzi no: siamo quindi lontanissimi. Prodi sarebbe un presidente della Repubblica che svelerebbe definitivamente la crisi istituzionale italiana. Il Professore perfezionerebbe cioè quel lavoro di lenta erosione della forma della presidenza della Repubblica che è stata esercitata dal novennato di Napolitano.

 

In che senso?

Alla fine Napolitano ha dimostrato due cose: che è venuto il tempo di una svolta istituzionale verso una Repubblica semi-presidenziale, e che è ora che il presidente della Repubblica sia eletto direttamente dagli italiani.

 

E cosa c’entra Prodi con tutto ciò?

Prodi sarebbe un presidente della Repubblica rappresentativo di una parte e non del tutto. L’esatto contrario di quanto previsto da questa Costituzione, secondo cui il capo dello Stato è un figura di garanzia. Napolitano ha esercitato questa funzione di garanzia e l’ha portata al limite, dimostrando di essere lui quello che faceva i governi. Se sarà coerente con se stesso, Prodi sarà quel presidente della Repubblica che invierà il messaggio alle Camere e al popolo italiano dicendo: “Sono stato eletto io perché l’Italia diventi una Repubblica semi-presidenziale”.

 

La politica italiana è pronta per una svolta semi-presidenziale?

Sarebbe auspicabile, ma purtroppo non è così, tanto è vero che Prodi non sarà eletto perché i partiti non vogliono questa svolta. La vorrebbe il popolo italiano, ma i partiti sono quanto di più distante vi sia dal popolo. Io che ho vissuto la crisi della Prima Repubblica credevo che quei partiti fossero lontani dalla gente, ma adesso mi accorgo che quelli attuali lo sono molto di più. Infatti non c’è più il Pd ma solo Renzi, e nel centrodestra è ancora peggio perché non ci sono né Forza Italia né Berlusconi.

 

(Pietro Vernizzi)