Dal reality alla realtà, dal virtuale al reale, con l’aggravante che ciò che nel primo caso resta un valore, nel secondo si dimostra un disvalore. E’ forse questa la sintesi più efficace della parabola nella quale si sta consumando la vicenda democratica italiana.
La formula “sei stato nominato” continuerà a interessare entrambe le rappresentazioni, ma con significati opposti: nei reality essa seguiterà a essere sinonimo di partecipazione popolare (sia pure di tipo televisivo) e di eliminazione dal gioco dei concorrenti meno graditi agli spettatori; nella realtà nazionale, per contro, essa continuerà a essere sinonimo di esclusione popolare (questa volta di tipo elettorale) e di promozione parlamentare di quei politici più graditi alle oligarchie partitiche. Nell’un caso, il controllo popolare sarà ancora capace di condizionare le sorti televisive di spettacoli e protagonisti, condannando all’abisso dell’oblio quelli non apprezzati, in ragione di un potere di scelta sempre più favorito e lusingato. Nell’altro caso, al contrario, il controllo popolare resterà ancora marginale, incapace di allontanare i politici non apprezzati, in ragione di un potere di scelta ancora una volta dimidiato e mortificato nelle proprie capacità e, soprattutto, nei propri diritti.
Si realizzerà, per tale via, la profezia di Renzo Arbore, che negli anni 80 irrideva le sorti telecratiche di un popolo di teleutenti (“tu nella vita comandi solo sino a quando, hai stretto in mano il tuo telecomando“).
Di questo, in definitiva, si tratterà, stando all’abbinamento fra Italicum e riforma costituzionale.
La riforma elettorale consentirà di immettere nella Camera dei Deputati sino al 60% degli eletti col voto bloccato, a fronte del 40% prescelto con le preferenze. Il sistema dei capilista bloccati in ben cento collegi elettorali plurinominali avrà la seguente e inevitabile conseguenza: la maggioranza parlamentare (340 seggi) potrà contare su 100 deputati di stretta osservanza partitica, cooptati dal relativo leader proprio in ragione della dimostrata fedeltà alle direttive di riferimento; parimenti, la minoranza potrà contare sui restanti seggi da assegnare ai candidati eletti ancora una volta col voto bloccato, essendo improbabile per i partiti perdenti di ottenere più di un seggio per collegio.
Quale sia il destino del dissenso all’interno dei partiti e del medesimo Parlamento è facile immaginare. Se la nomina del parlamentare è in gran parte rimessa al leader di riferimento e non già al corpo elettorale, per quale motivo occorrerebbe inimicarsi costui? Se il sistema elettorale premia con il voto bloccato le personalità cooptate dal vertice delle segreterie, per quale interesse varrebbe la pena anteporre la critica costruttiva alla cieca obbedienza?
La situazione, se possibile, è ulteriormente aggravata dalla riforma costituzionale in corso di approvazione. In questa il Senato, di per sé privo di effettive ragioni d’esistenza (ma questa è un’altra storia), sarà interamente costituito da cooptati dalle segreterie regionali dei medesimi partiti presenti in Parlamento. Ancora una volta, dunque, verrà premiata la cieca obbedienza del singolo aspirante senatore.
La politica nazionale, insomma, sarà soprattutto appannaggio delle segreterie di partito, capaci di selezionare il personale parlamentare e di indirizzarne il voto secondo le indicazioni di volta in volta imposte. E’ a queste, in definitiva, che dovrà rispondere un Governo oramai affrancato da un effettivo controllo parlamentare e da un pieno controllo popolare.
Il guaio è che nemmeno l’astensione potrà costituire una vera e propria alternativa al nuovo status quo. In caso di ballottaggio fra le due liste più votate, infatti, il premio di maggioranza del 53% dei seggi verrà assegnato al partito che ha ottenuto più suffragi indipendentemente dal numero effettivo di votanti, con la conseguenza che la minoranza più organizzata e spregiudicata del Paese ne potrà conseguire la guida. L’astensione, in altri termini, avrà il solo significato di rimarcare una disillusione individuale e collettiva, per il resto facilitando l’opera delle segreterie di partito.
E tuttavia, quanto tutto questo c’entri con la democrazia, la rappresentanza e la tutela dei diritti politici, è un discorso che d’ora innanzi sarà sempre più sconsigliato intraprendere.