In una intervista rilasciata al quotidiano Handelsblatt, Mario Draghi, presidente della Bce, ha detto “io non voglio essere un politico”. Una dichiarazione che sembrerebbe scombussolare i piani di chi fino a ieri metteva anche il suo nome nella rosa dei “papabili” per il Quirinale. Nel frattempo, chi sembra più in difficoltà a trovare un candidato e proprio Matteo Renzi, leader di un Pd assai diviso al suo interno. Pare che il presidente del Consiglio stia ragionando su un nome non strettamente politico, un personaggio “fuori dal palazzo”. Ma Paolo Franchi, editorialista del Corriere della Sera, è molto pessimista.



Franchi, Mario Draghi si chiama fuori?
Non darei a dichiarazioni come queste un valore assoluto. E’ vero: c’è bisogno di un capo dello Stato di grande autorevolezza anche in sede europea e internazionale. Tuttavia chiediamocelo francamente: a un’Italia in queste condizioni, converrebbe di più avere Draghi al Quirinale o alla Bce? Draghi non è Trichet., interpreta il suo ruolo come una vera e propria mission.



Ha detto di non voler essere un politico, non ha detto di non voler fare il presidente della Repubblica. Intanto pare che Renzi stia cercando un presidente “fuori dal palazzo”. Le due cose sembrano ancora andare d’accordo…
Sì, le cose si incontrano. Anche se Renzi intende un presidente che non provenga dalla politica militante. E qui si apre un ventaglio relativamente largo di possibilità, rispetto al quale credo che Draghi resti un’ipotesi forte. Se devo essere sincero però, alla candidatura Draghi non ho mai creduto moltissimo.

Secondo lei chi si sta cercando?
E’ questo il punto. Servirebbe l'”uomo delle istituzioni”, politiche o economiche che siano. Come si diceva un tempo: “Si profila una candidatura istituzionale”… Chiediamoci però: chi c’è?



Sarà un caos come nel 2013?
No, infatti potrebbe essere anche peggio. Allora si supponeva che ci fosse un vincitore alle politiche e non ci fu. Questo credo sia stato il fatto dirimente, molto più del successo di Grillo. Poi, quel voto politico ha dimostrato che il bipolarismo non c’era. La crisi politica, giudiziaria e personale di Silvio Berlusconi era ormai conclamata e da quel campo non potevamo più aspettarci nulla.

E perché potrebbe andare peggio?
Rispetto al 2013 c’è un dato nuovo: siamo in un regime di monopartitismo tendenziale. Questo dà a Renzi un ruolo di aggregazione senza precedenti, in presenza però di gruppi parlamentari espressione di una leadership precedente. Le divisioni potrebbero avere effetti ancor più devastanti.

Perché è così difficile individuare un capo dello Stato?
I nomi circolano, come è ovvio, il problema è un altro. Prendiamo un’elezione della cosiddetta prima repubblica. Ragionare sui nomi voleva dire farlo al contempo su prospettive politiche. Adesso io non saprei legare un nome papabile a una prospettiva politica.

Dipende dalla politica. 

Sì. Siamo in una dimensione della politica tutta schiacciata sul presente. La politica oggi — diversamente dalla fase “alta” della prima repubblica, non quella terminale, e di parte della seconda — è solo un “eterno” presente.

Mettiamola diversamente. Renzi vuole un presidente che gli sciolga le Camere?
Gli piacerebbe molto, certo. Ma mi sembra molto difficile, e certamente lo ha capito anche Renzi. Una figura del genere verrebbe riconosciuta a vista, vagli a spiegare a metà del Pd e allo stesso Berlusconi che devono votare per un candidato di questo tipo. E poi se anche Renzi avesse accarezzato questa idea, Napolitano l’ha bocciata.

Napolitano?
Nel discorso di fine anno. La sua insistenza sul tornare alla “normalità costituzionale, ovvero alla regolarità dei tempi di vita delle istituzioni, compresa la Presidenza della Repubblica”. Non vi vedo il riferimento a un presidente nelle mani di Renzi… E poi, stiamo agli ultimi 20 anni. Cosa fa il capo dello stato quando un Berlusconi dice: torniamo a votare? Verifica se in parlamento ci sono le condizioni e i numeri per sorreggere un nuovo governo.

Renzi cercherà il nome all’interno del Pd?
Gli auguro di trovarlo. Il  problema è che la candidatura forte del Pd non c’è. Potrei sbagliarmi ovviamente, ma l’ipotesi Romano Prodi non regge. Se pensiamo alla figura di capo dello stato concepita fino ad oggi, un padre nobile, che rappresenti un elemento di congiunzione tra passato, presente e futuro delle istituzioni e della nazione, io ho l’impressione che l’ultimo soggetto su piazza con queste caratteristiche sia stato Giorgio Napolitano.

Dunque lei pensa a un non politico-politico. Stile Sabino Cassese, o Umberto Veronesi, per fare solo alcuni nomi.
Sì, per esempio. In ogni caso, non “follie” alla Muti. Io continuo a pensare che la situazione economica e sociale difficile, con l’Italia che “ballerà” ancora, richiederà un presidente che abbia relazioni forti sul piano internazionale. Uno che avrebbe questi requisiti è Amato, ma non lo faranno presidente per tanti motivi. Non ultimo, l’improvvida uscita di Berlusconi a suo favore. E’ stato un po’ come il bacio della morte, temo…

Quanto conterà Berlusconi?
Mi ha sorpreso che lo stesso Berlusconi, capo di Forza Italia, abbia detto recentemente di controllare una settantina di elettori. E’ già qualcosa… Comunque, battute a parte, sarà interessante vedere fino a che punto potrà essere determinante.

Ma lo sarà o no?
Bisognerebbe conoscere l’esatta natura del patto del Nazareno. Berlusconi ha in mano le chiavi di varie cose: il seguito delle riforme costituzionali, la legge elettorale… Tuttavia ho l’impressione che non ci sia nulla di così “immangiabile” per cui Berlusconi possa far saltare tutto: motivi che riguardano il suo futuro, le aziende, eccetera. Insomma come interlocutore non mi sembra una roccia.

Torniamo alle figure non strettamente politiche.

Credo che sarà la carta più forte. I nomi sono quelli che leggiamo sui giornali. D’altra parte una scelta di questo tipo rifletterebbe anche lo stato in cui versa la politica. 

Qualcuno, forse lo stesso Renzi, ha fatto notare che anche un tecnico,  varcata “quella” porta, diventerebbe politico.
Non c’è dubbio: basta pensare a Monti. In ogni caso, Da Padoan a Cassese, sono tutti nomi che con la politica dei rami alti c’entrano parecchio.

(Federico Ferraù)