Meno noto di altri, Sergio Mattarella – se sarà eletto – viene già presentato da molti come un presidente di basso profilo. C’è chi sostiene che anche la nuova legge elettorale, l’Italicum, contribuirà in questo senso. E’ probabile, invece, che una sua (eventuale) presidenza lascerà un segno profondo. Sotto il profilo politico-istituzionale, infatti, stiamo entrando in una terra incognita, che richiederà una funzione non notarile del Capo dello Stato. Le circostanze, perciò, faranno emergere la sua non comune personalità umana e politica.    



Le affrettate biografie di queste ore definiscono Mattarella un uomo freddo e distaccato. Ma sono più calzanti altri aggettivi, come schivo e riservato, pacato e ragionevole, disponibile al dialogo e al confronto. Il rigore della sua figura pubblica nasconde infatti profonde radici morali, legate, oltre all’ambiente familiare, alla sua militanza nella Giac e nella Fuci. E la presenza, che si viene delineando, di due cattolici ai vertici dello Stato, è probabilmente meno casuale di quanto potrebbe sembrare. Per realizzare davvero, infatti, quel “partito della nazione” di cui si avverte oggi il bisogno, è necessario esprimere le fibre più profonde della società italiana e la tradizione cattolica è, tra queste, una delle più rilevanti.      



Sul piano politico, lo definisce anzitutto la data di nascita: 23 luglio 1941. Con Mattarella si compie un salto generazionale rispetto agli ultimi tre presidenti della Repubblica: Scalfaro (nato nel 1918), Ciampi (nato nel 1920) e Napolitano (nato nel 1925). Se eletto nuovo Capo dello Stato, sarà il primo a non avere memoria diretta delle vicende della guerra e del passaggio dal fascismo alla democrazia. Il suo rapporto con le origini della Repubblica è quello evidenziato soprattutto dal suo ruolo di giudice costituzionale. In una stagione di cambiamenti costituzionali, la fedeltà alla Costituzione rappresenta un legame importante con le origini di istituzioni repubblicane che spetta in primo luogo al Capo dello Stato difendere. Ma si tratta di un legame diverso da quello dell’esperienza diretta. 



Come i tre Presidenti della Seconda Repubblica, Mattarella ha vissuto parte della sua esperienza politica nella Prima Repubblica. Figlio di  Bernardo, più volte ministro democristiano negli anni sessanta e settanta, e fratello minore di Piersanti, presidente della Regione Sicilia, ucciso dalla mafia nel 1980, ha radici collocate nella prima fase della storia repubblicana. 

Anch’egli nella Dc, come il padre e il fratello, ha appreso nelle fila dei morotei e della sinistra democristiana l’arte nobile di una politica con spessore culturale. Ma è diventato parlamentare per la prima volta solo nel 1983, nelle elezioni che segnarono il tracollo della Dc dal 38% al 33%. Ha vissuto cioè soprattutto il declino della Repubblica dei partiti ed è stato attivo nella stagione successiva che ha contribuito a fondare, legando il suo nome al principale elemento di discontinuità tra Prima e Seconda Repubblica: la legge elettorale del 1993, il cosiddetto Mattarellum.  

La sua esperienza politica, insomma, si colloca a cavallo tra le due diverse fasi della storia Repubblicana, prima e dopo la cesura del ’92-’94. Sono emblematiche in questo senso le sue dimissioni da Ministro della Pubblica Istruzione, rassegnate nel 1990 e che oggi vengono raccontate in termini di scontro con Silvio Berlusconi. Ma la realtà è più complessa. Egli intese allora protestare contro la fiducia posta da Andreotti, sulla legge Mammì, che violava una direttiva europea sul pluralismo dell’informazione. Mattarella non accettò quello strappo alle regole. Non si trattava, insomma, di una questione politica o personale: per Mattarella era in gioco molto di più.