Ci sono molti punti oscuri nella vicenda del decreto fiscale stoppato precipitosamente da Renzi perché accusato di fare un favore a Berlusconi. L’unica certezza è che la riabilitazione del Cavaliere può attendere, almeno per ora. Resta però il dilemma se il vero o presunto regalo sia voluto, oppure no.

I critici del presidente del Consiglio, quelli di sinistra soprattutto, sospettano da un anno ormai che all’interno del “patto del Nazareno” vi sia una clausola segreta che preveda qualche forma di recupero dell’agibilità politica per il leader di Forza Italia. E ogni movimento fra Palazzo Chigi e Palazzo Grazioli viene letto in quest’ottica, specie alla vigilia di una partita cruciale, come la scelta del nuovo capo dello Stato.



La retromarcia è stata inevitabile, per fugare ogni sospetto di inciuci o di scambi inconfessabili. Il decreto contestato sarà corretto, e trasmesso al parlamento solamente dopo l’elezione del successore di Giorgio Napolitano.  

Questi i fatti del giorno, mentre per capire la portata della vicenda ci vorrà un po’ più di tempo. Se davvero ci fosse l’intenzione di fare un regalo di Natale a Berlusconi, l’eco mediatica ha fatto saltare l’operazione, e questo in astratto potrebbe incrinare l’asse di ferro fra Renzi e Berlusconi. 



Dalla smentita del leader azzurro sembra però che le cose stiano diversamente. Berlusconi lamenta che i suoi detrattori trovano sempre una maniera per metterlo in mezzo, che ogni volta che si tocca il tema fisco, con provvedimenti che riguardano milioni di cittadini, qualcuno lo chiami in causa. In più, i suoi avvocati, Franco Coppi e Nicolò Ghedini, non sono affatto convinti dell’applicabilità della norma approvata alla vigilia di Natale al loro assistito. La loro speranza è affidata alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, dove la decisione è data per abbastanza prossima. 



E la non applicabilità dello sconto al caso di Berlusconi fa nascere in casa azzurra il sospetto che si tratti di una polpetta avvelenata, dell’opera di una manina che ha sollevato un polverone proprio per mettere in difficoltà il dialogo sul Quirinale. Renzi e Berlusconi vittime in egual modo, insomma, dei giustizialisti di sinistra, ma uniti nel respingere l’agguato e nel continuare a tessere discretamente la tela di una candidatura condivisa, compensando i possibili franchi tiratori di entrambe i partiti. Del resto, Deborah Serracchiani in un’intervista al Messaggero ha confermato che l’interlocutore privilegiato del Pd sul Quirinale rimane proprio Forza Italia. 

Resta però il caso fiscale, divenuto possibile nel clima di grande confusione che regna intorno all’ufficio legislativo di Palazzo Chigi. Se, infatti, si esclude l’ipotesi del regalo voluto a Berlusconi, rimane solo quella della svista. Si tratterebbe però dell’ennesimo caso di pasticcio nella scrittura di leggi e decreti delegati. 

L’apice forse si è toccato con la legge di stabilità, quando al Senato si è votato su un maxiemendamento praticamente senza conoscerne il testo completo, dal momento che si sono perse ore preziose nelle correzioni fra la presidenza del Consiglio ed il ministero dell’Economia. La faccia affranta del sottosegretario all’Economia Enrico Morando, chiamato a presidiare i banchi del governo sta lì a dimostrare il livello di caos raggiunto in quella difficile fase. 

Ma i 300 giorni del governo Renzi sono puntellati di numerosi altri episodi simili. In Consiglio dei ministri non si approvano testi, ma schemi di decreti legge o disegni di legge. Poi la versione finale è frutto di correzioni successive, cui talvolta non è stato estraneo il discreto intervento dell’ufficio legislativo del Quirinale. Un esempio clamoroso è stato uno dei decreti legge più importanti dell’anno appena concluso, lo “Sblocca Italia”, firmato dal Capo dello Stato ben 14 giorni dopo il voto in Consiglio dei ministri a fine agosto. Se non si tratta di un primato da guinness, poco ci manca. E per vedere la firma presidenziale sotto i decreti sulla riforma della pubblica amministrazione e la crescita, tra giugno e luglio, ci vollero 11 giorni dal sì del Consiglio dei ministri. Se questi ritardi si fossero verificati durante altri governi, le polemiche sarebbero divampate violente.

Nei mesi scorsi è finita sotto accusa la nomina, alla testa dell’ufficio legislativo della presidenza del Consiglio, della ex comandante dei vigili urbani fiorentini, Antonella Manzione. Renzi voleva una fedelissima in una postazione chiave. E forse non tutte le croci si possono gettare addosso a una singola funzionaria. Sta di fatto che la qualità della legislazione sta diventando un tallone d’Achille di questo governo. Perché l’azione riformatrice che si propone il premier sia realmente efficace non si può procedere con pressapochismo. Forse Renzi questo problema dovrebbe porselo, anche per evitare altre bucce di banana su cui potrebbe finire per scivolare.