Melchiorre Gioia avvertiva che il popolo si lascia facilmente ingannare dalle apparenze di severità che si manifestano nelle decisioni dei governanti; anzi, sono apprezzate anche le leggi chiaramente ingiuste purché siano vessatorie nei confronti di chi appartiene a una “classe superiore” o considerata privilegiata. Non è detto, però, che, come nel gioco dell’oca, la Corte costituzionale faccia poi tornare tutti alla casella di partenza. Gli esiti sarebbero comunque dannosi. Avremmo perso in tempo, energie, e rispetto delle regole; avremmo accumulato scorie, costi e conflitti, senza benefici concreti, se non per chi lucra sul contenzioso e sullo stato confusionale dell’Italia intera.    



Al giro di boa del capodanno, però, non ci si può limitare alle note critiche; occorre anche dare speranza all’Italia che intenda mettersi alle spalle decisioni di governo affastellate con i soliti vizi. Ad esempio, la legge di stabilità di fine 2014 è stata approvata con la fiducia e con il solito maxi-emendamento omnibus dell’ultimo minuto che ha riscritto in modo del tutto discrezionale il testo iniziale e senza avere neppure come punto di riferimento, come talora è avvenuto, il testo emendato in Commissione. 



Con 735 commi, posti all’interno di un unico articolo di legge e formulati in modo illeggibile ai più, si è largamente operato in deficit; si è rimandato al prossimo anno il raddoppio delle maggiori o nuove entrate; si sono previste pesanti clausole di salvaguardia che, sul versante delle imposte indirette, accresceranno le incertezze sui consumi; si sono imposte alcune misure immediatamente smentite dall’annuncio di successive correzioni; si sono approntate numerosissime micro-decisioni di settore che dai vertici politici sino agli apparati tecnici non si è stati in grado di frenare, a dispetto delle previsioni di legge e delle disposizioni dei regolamenti parlamentari. Chi per lungo tempo ha lamentato la pessima tecnica legislativa dei testi governativi, stavolta è sembrato meno scandalizzato: probabilmente, l’abitudine al peggio ha reso immuni.



L’elezione del nuovo capo dello Stato sarà la prima occasione per una vera svolta, ove cioè far finalmente corrispondere alle parole i fatti. E’ chiaro, infatti, che la rielezione del presidente della Repubblica è stata un segno di grave debolezza per l’intero sistema politico-istituzionale. La politica può e deve riprendere in mano i destini del Paese, e con essi la piena responsabilità per dare un nuovo assetto alle istituzioni nazionali che non sia mero maquillage o confusa operazione di semplificazione. Su questa base, e non su meri calcoli di parte, si metta poi mano alla riforma elettorale, nel senso della chiara derivazione degli eletti dalla volontà popolare e senza strumentali tecniche che mantengano la preposizione dei nominati.

Si proceda poi a quelle essenziali riforme che, rifiutando logiche qualunquistiche, restituiscano serietà e stabilità all’assetto partitico, non per consolidare la posizione di chi già si trova sugli scranni parlamentari, ma per garantire la presenza di quell’intermediazione degli interessi senza cui non c’è vera democrazia, ma un governo plebiscitato e fatto da leader-comunicatori senza effettivi contro-poteri. Si affronti poi il tema della nostra presenza sulla scena europea, non per far arretrare antistoricamente il processo di integrazione, ma per dargli un senso coerente con il massimo bene comune concretamente raggiungibile. 

L’Europa resterà un gigante dai piedi d’argilla se non saremo capaci di definire un sistema di regole in cui le reciproche debolezze si trasformino non in rendite di posizione democraticamente ingiustificate, ma in equa ripartizione delle risorse disponibili nel rispetto dei nostri principi di civiltà. 

Rivedere il Fiscal compact, ad esempio, è il primo indispensabile passo, anche appellandosi alla Consulta affinché i “controlimiti” costituzionali alle limitazioni di sovranità siano confermati ed applicati come un nucleo imprescindibile non solo per tutelare i principi fondamentali del nostro ordinamento, ma anche per delineare in modo ri-costruttivo le tradizioni costituzionali comuni all’intera Unione europea. Appellarsi al presente modello di Europa contro la montante disillusione è un rischio altissimo per la pace che è stata pagata a caro prezzo dalle generazioni che ci hanno preceduto. Abbiamo il genio per fare tutto questo, occorre buona volontà.

(2 – fine)