Nei territori è intenso in questo periodo il dibattito conseguente alla soppressione e/o accorpamento delle varie presenze istituzionali dei territori che le politiche di spending review stanno attuando in tutto il Paese. Province, Camere di Commercio, Prefetture e altri enti sono stati interessati negli ultimi mesi a consistenti interventi di ristrutturazione che cambiano radicalmente lo scenario delle rappresentanze istituzionali locali. 



La necessità di un taglio e riqualificazione della spesa pubblica è imposto dalle dimensioni del debito pubblico italiano, il più grande in Europa, che sta gravando pesantemente sulla capacità di ripresa del nostro Paese dopo la grave crisi degli ultimi anni. In questo contesto una impostazione localista alla problematica è perdente in partenza, senza alcuna capacità di incidenza. Occorre pertanto rilanciare un dibattito sulle modalità di riduzione e miglioramento qualitativo della spesa pubblica che può far raggiungere l’obiettivo perseguito. 



In tali processi si rivela immediatamente che il puro e semplice taglio lineare della spesa non è sufficiente a raggiungere i risultati ricercati in quanto non tiene in considerazione la capacità di gestione e di efficienza delle amministrazioni locali e dei soggetti sociali. Il taglio lineare penalizza le amministrazioni periferiche virtuose non responsabilizzando quelle inefficienti, con il concreto rischio di penalizzare la qualità dei servizi già efficienti senza andare a intervenire sugli sperperi. Il recente Rapporto “Sussidiarietà e Spesa pubblica” proposto dalla Fondazione per la Sussidiarietà documenta analiticamente, anche attraverso raffronti internazionali, come l’incremento del “grado di sussidiarietà verticale”, che premia le amministrazioni periferiche efficienti, ha un impatto molto positivo sullo sviluppo del reddito pro-capite. Lo stesso dicasi per il grado di sussidiarietà orizzontale che va a sostenere la libertà di scelta dei cittadini attraverso le forme di: voucher, detrazioni, 5 per mille, 8 per mille e altro. 



In tale prospettiva si spera che la recente apertura del governo a inserire nella prossima Legge di stabilità un riferimento premiale ai costi standard nei trasferimenti alle amministrazioni periferiche, come pure lo sviluppo di autonomie, di sistemi di controllo e valutazione nei vari enti pubblici che promuovano responsabilità, si attuino quanto prima. Nel frattempo a livello locale cosa fare? Una posizione puramente difensivista che permane su una serie di proclami non ha alcuna prospettiva. Certamente nelle modalità di riordino degli enti periferici occorre una presenza che cerchi di tutelare il più possibile i servizi presenti sul territorio, ma questa azione non è sufficiente. 

Una spinta dal basso su questi contenuti della sussidiarietà può dare forza a un serio processo di riforma che trova ostacolo nel puro localismo o nelle tutele di lobby e corporazioni. Come pure sviluppare azioni di sussidiarietà sui territori può migliorare la qualità e l’efficienza delle risorse a disposizione e di quelle che possono essere intercettate in seguito a tale azione. 

Non è più compatibile con l’attuale contesto un’idea di raccordi a livello territoriale che persegue le vecchie logiche di esclusiva delega alla politica oppure di gestioni privatistiche fra qualche soggetto. Mentre alcuni territori rischiano di perdersi nella retorica dei proclami, altri stanno già lavorando su progettualità territoriali che li metterà in grado di utilizzare importanti risorse europee per lo sviluppo locale. Nel momento in cui un vecchio tipo di presenza istituzionale locale sta scomparendo occorre ripensare una nuova modalità di lavoro comune tra tutti gli stakeholders del territorio. 

Si impone la necessità di un nuovo soggetto che veda la presenza del sistema delle imprese, della politica, del Terzo settore, della scuola, delle università, che sia capace di avviare uno stabile lavoro di approfondimento e progettualità, nonché di rappresentanza del territorio negli ambiti sovra locali. Di questa necessità già si vedono i primi albori di un lavoro dal basso che ha delle caratteristiche nuove rispetto al passato. In primo luogo, il tutto non viene delegato alla politica che invece fa parte integrante della complessità della comunità territoriale; inoltre, il sistema delle imprese, del Terzo settore, delle scuole e università, superando percorsi individualistici, trova luoghi di lavoro e costruzione comune. Paradossalmente quello che poteva sembrare una circostanza che poteva penalizzare le identità locali potrebbe essere l’occasione del riscatto di una nuova forma di comunità territoriale, molto più coesa, dialogante e costruttiva rispetto al passato. 

L’innovazione “sociale” è decisiva per poter affrontare la transizione che stiamo attraversando, in quanto cogliere tutte le opportunità di sviluppo che oggi ci sono implica la crescita di queste nuove forme di comunità locali.