Tutti invocano una nuova classe dirigente per l’Italia, e nello stesso tempo tutti riprendono con forza l’ormai antico impegno dettato da Tangentopoli: trasparenza, lotta alla corruzione, educazione alla legalità. Dopo la scoperta di “Mafia capitale”, nuovi uomini di legge e diritto, quindi di specchiata trasparenza, sono balzati al centro della cronaca.
Se un tempo c’era il pool di Milano (senza dimenticare mai l’allora prefetto De Gennaro, grande playmaker nazionale, premiato tempo fa persino dall’Fbi americana), oggi sono arrivati il travolgente Pignatone, l’ineguagliabile Cantone e persino un assessore alla Legalità, Alfonso Sabella.
Poteva, in simile ripresa di attività, non essere presente la Procura di Milano, dove il procuratore capo, Edmondo Bruti Liberati, sta per concludere il suo mandato? Praticamente la “barricata più antica e gloriosa” della battaglia per la trasparenze e per il rispetto della legalità?
Ieri mattina, proprio mentre andava alla Giornata della trasparenza, il vicepresidente della giunta regionale lombarda ed ex assessore alla Sanità, Mario Mantovani, è stato arrestato insieme al suo collaboratore Giacomo Di Capua e all’ingegner Angelo Bianchi. Nell’inchiesta sono coinvolti come indagati anche Massimo Garavaglia, leghista e assessore all’Economia. Oltre a una dozzina di persone.
Il rapporto tra politica e giustizia ritorna ancora al centro della questione italiana. Mentre a Roma si consumavano le ultime battute della sceneggiata su Ignazio Marino, tra dimissioni e concitazioni, dopo di tutto e di più, sino alle sgridate vaticane e alle note spese del sindaco tutte sbagliate, a Milano finiva in carcere, con accuse infamanti, il vicepresidente della giunta regionale, aprendo così una possibile crisi politica che avrà un’eco in consiglio regionale con una mozione di sfiducia nel confronti del governatore Roberto Maroni.
In questo modo, il bersaglio contro la corruzione si è allargato da Roma a Milano, alla Regione Lombardia. Ma non è finita, perché l’Italia sembra una sorta di “paese minorenne”, che bisogna sempre sorvegliare e che deve “fare i compiti” e pure le penitenze. Ecco che si sono aperte altre due inchieste. Una riguarda Infront e coinvolgerebbe Mediaset e le società di calcio per i diritti televisivi truccati. Infine, tanto per non farci mancare proprio nulla, il vicepresidente di Unicredit, Fabrizio Palenzona, è finito indagato dalla Direzione antimafia per reati finanziari aggravati.
Con un simile quadro di inchieste e di varie malversazioni che appaiono con una cadenza mirabile, è legittimo chiedersi: che bisogno c’è di una nuova classe dirigente? Quale necessità esiste di nuove scelte politiche ? Non è forse più semplice delegare alla magistratura, ai responsabili delle nuove “autorità” il compito di governare il Paese?
Ora ci si domanda se tutta questa valanga di accuse che investono personaggi politici e della finanza italiana, siano sorrette da prove documentate o se da parte di “centrali”, anche internazionali, non si “spari nel mucchio”, soprattutto in Italia, per contrastare i collegamenti del grande crimine internazionale.
Nonostante il nuovo decisionismo di Matteo Renzi, l’impressione è che le spinte esterne ci siano ancora e che il rapporto tra politica e giustizia non sia affatto equilibrato, come dovrebbe in una democrazia.