I malumori serpeggiavano da tempo fra le fila degli alfaniani. La rottura, però non poteva essere più deflagrante di così: all’indomani del sì del Senato al disegno di legge di revisione costituzionale Gaetano Quagliariello, cofondatore di Ncd, lascia l’incarico di coordinatore del partito e sembra in procinto di levare le ancore verso lidi più moderati. 



Il fuoco covava sotto la cenere da tempo: dentro Ncd si confrontavano due anime, quella filo-Renzi e quella sempre più a disagio man mano che l’abbraccio con il Pd si andava facendo più soffocante. Le ragioni della divaricazione si sono stratificate sino a che la misura è stata colma.

Quagliariello ha pronunciato la dichiarazione di voto favorevole alla riforma costituzionale, poi ha sbattuto la porta. “Oggi si è chiusa una fase”, ha detto non casualmente. Sotto accusa è finito l’appiattimento ai voleri di Renzi, anche perché il premier e la Boschi hanno risposto sin qui picche alle pressioni per rivedere la legge elettorale, spostando dalla lista alla coalizione il premio di maggioranza. In un simile scenario lo spazio per la creatura centrista di Alfano (e Cesa) è praticamente zero: o entrare nel Pd, oppure ritornare da Berlusconi (e Salvini). Rimanere di fuori dei due listoni equivarrebbe a condannarsi all’irrilevanza, a conquistare — se va bene — una manciata di seggi.



Quagliariello è politologo esperto e navigato, e con lucidità vede il baratro davanti al piccolo partito nato dalle ceneri del Pdl. Lui appartiene alla schiera di quelli che non intendono morire democratici. Servirà qualche giorno per capire se si tratta dell’inizio di una slavina destinata a ingrossarsi rotolando giù dalla montagna della maggioranza parlamentare che sostiene il governo. Quello che è certo è che Renzi rischia assai di più per la cedevolezza dell’area centrista della sua coalizione, che non per le critiche della sua minoranza interna. La sinistra dem ha dimostrato proprio sulle riforme costituzionali tutta la sua inconsistenza, accontentandosi di un ritocco cosmetico a una legge che è passata esattamente nella formulazione voluta dal premier segretario. Da quella parte Renzi sa che non deve aspettarsi particolari difficoltà.



Al centro, invece, potrebbe accadere di tutto. Discussioni su temi eticamente sensibili come diritto di cittadinanza e — soprattutto — unioni di fatto non possono che allargare il solco fra Pd e Ncd. E un’uscita di peso come quella di Quagliariello finirà per mettere Alfano nella condizione di doversi irrigidire per marcare le distanze e non passare da zerbino del premier. 

Per ora l’ex ministro delle Riforme del governo Letta non lascia Ncd, ma potrebbe essere questione di poco, se l’appoggio a Renzi — come è più che probabile — continuerà. Nunzia De Girolamo lo dava in uscita già diverse settimane fa, e giurava che non sarebbe stato l’unico.

Altri personaggi dati per inquieti e tentati dall’abbandono sono Roberto Formigoni, Eugenia Roccella, Carlo Giovanardi e Maurizio Sacconi, anche se per ora tutti negano. A testimonianza del peso dei temi etici, però, proprio Roccella e Giovanardi oggi hanno firmato una nota in cui si dichiarano liberi di non votare più la fiducia, per via del ddl Cirinnà. E anche un pezzo da novanta come Giuseppe Esposito, vicepresidente del comitato di controllo sui nostri 007, il Copasir, ha dato segni di insofferenza negli ultimi giorni, dimettendosi da coordinatore della sua provincia, Salerno.  

Al contrario, con Alfano sono schierati il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, e il presidente della Commissione esteri della Camera, Fabrizio Cicchitto, secondo cui uscire dal governo Renzi sarebbe un suicidio per il partito. Anzi, secondo alcuni alfaniani i rapporti con il Pd andrebbero stretti al punto di immaginare una collaborazione strutturale, ben al di là di questa “legislatura delle riforme”, che è la motivazione nobile su cui Ncd è nato quando Berlusconi tolse la fiducia al governo Letta. 

In mezzo, ago della bilancia, l’ex ministro Maurizio Lupi, che i rumors continuano a dare interessato alla candidatura a sindaco di Milano, ovviamente sotto le bandiere del centrodestra.

Proprio le amministrative della prossima primavera (Milano, ma anche Napoli, Torino e adesso pure Roma) saranno lo spartiacque in tema di alleanze verso il voto politico che presumibilmente non ci sarà almeno sino alla primavera del 2017. E una considerevole fetta di Ncd del nord difficilmente resterà insensibile all’apertura di credito venuta giorni fa dal “duro” Salvini: collaboriamo, come in Regione Lombardia, a patto di mollare Renzi e Alfano. 

Di fronte alle dimissioni di Quagliariello da coordinatore il ministro dell’Interno è rimasto gelido, spiegando che lui non tratterrà nessuno con la forza. Ma a lungo andare il rischio di un’esplosione della galassia centrista potrebbe concretizzarsi sul serio. E allora per Renzi potrebbero essere guai seri, in particolar modo a Palazzo Madama.