“Silvio, rimembri ancora…”. Con ogni probabilità, Berlusconi rivede in questi giorni scorrere davanti agli occhi le scene di inizio legislatura. Un Pd depresso per la mancata vittoria, grillini arrembanti che mettevano alle corde in streaming i vertici della sinistra e un Pdl redivivo che obbligava alla (oibò) rielezione di Napolitano e conquistava un insperato governo di coalizione. Con i sondaggi del partito del Cavaliere che, fino alla fine delle larghe intese, restano sopra il 20 per cento. Poi la decadenza da senatore. Voluta dal nuovo capo del Pd Renzi per mettere sotto tiro Enrico Letta. Indi la rottura con gli alfaniani. Quando, nato il governo Renzi, Berlusconi seppellisce il Pdl e riesuma Forza Italia, la Lega viaggia intorno al 3 per cento. Tanto che nei primi approcci sull’Italicum si parla a più riprese di emendamento salva-Lega.
Cosa provoca allora il calo di consensi di Silvio il Nazareno? Il Nazareno appunto, cioè il patto leonino con il bomba fiorentino che fa percepire, fuori dal Palazzo, Berlusconi come il primo e più sottomesso tra i cagnolini di compagnia di Renzi. Come il disprezzato Alfano. E Salvini decolla, saccheggia i voti di Forza Italia che sarà pure il partito dei moderati ma non dei moderati di sinistra.
Berlusconi ingoia di tutto in favore di imprecisati e misteriosi obiettivi, patrimonio degli ammiccamenti tra Lotti e Verdini. Consuma la rissa interna dando il benservito a Fitto e cento altri. E si ritrova con un pugno di mosche in mano. Un 10 per cento. Cifra che non può non ricordargli il fallimento delle ambizioni di Monti.
E allora, contrordine compagni. Via i Nazareni, spazio al mastino Brunetta. Opposizione dura e pura. Noi tireremo dritti. Fino alla prima curva. Curva Telecom, curva Mediolanum, curva Mediaset. Difficile essere barricadiero con tanti interessi. Pure il nostro ne fa un punto d’ onore: sono ancora in campo. Non ho trovato nessuno (sic!) migliore di me. Intanto Ncd frana, Renzi nonostante i mercenari verdiniani traballa e sulla legge di stabilità si misureranno i nuovi numeri del governo.
Se Forza Italia pronunciasse il fatidico “avanti, c’è posto” potrebbe facilmente riprendersi lo spazio politico sacrificato al “felpato” Salvini. E qui casca l’asino. Da Palazzo Grazioli solo mezze frasi. Berlusconi è in campo, ma non sembra in pista. E proprio quando lo spazio di centro si apre, sfoglia la margherita non riuscendo a proporre ai transfughi e delusi dalla prepotenza renziana un utile e convincente approdo. Milano, Roma, Napoli, Sicilia forse. Si vota e perché non sia un match Grillo-Pd occorre di nuovo la figura di un federatore. Salvini dice: lo faccio io perché ho più voti. Ma fino a quando? E soprattutto, così gli altri van via.
E allora? Forse il federatore che serve al centrodestra somiglia più a un Prodi, cioè uno dotato di una sua autorevolezza ma magari senza partito, che non al capo del partito più grande. Quagliariello, Fitto, Tosi, hanno tutti sensibili controindicazioni.
Non sarà facile risolvere il rebus della credibilità del centrodestra italiano. Ma se a Berlusconi è rimasto un compito, è questo. Magari alzando lo sguardo al di là del mondo asfittico della politica di casa nostra. Prodi era un professore, imprenditori vogliosi alla Brugnaro non mancano. Diversamente, ogni giorno un piccolo o grande potere si stringerà a Renzi. Una piccola o grande rabbia si riconoscerà in Grillo. E alla roulette dell’Italicum si potrà puntare solo su rosso o nero.