“Marino si aggrappa al Campidoglio sperando di diventare un anti-Renzi e di essere rieletto in Parlamento grazie alle forze di sinistra”. E’ il commento di Peppino Caldarola, ex direttore dell’Unità ed ex parlamentare dei Ds. Ieri il sindaco di Roma ha rivendicato di non avere mai “usato denaro pubblico a scopo privato, semmai il contrario”. Marino ha aggiunto: “Ho 20 giorni per fare opportune riflessioni e verifiche sulle mie dimissioni”, e la sussistenza o meno di una maggioranza in consiglio comunale “fa parte delle verifiche che bisognerà fare”. Per Caldarola, “in questo momento nessuno, neanche l’M5s, ha la vittoria in tasca alle prossime comunali a Roma. Renzi però ha due alternative: o candidare Francesco Totti o sostenere Marchini”.
Qual è il senso politico delle ultime affermazioni di Marino?
Marino pensa sicuramente che si apra una possibilità per restare alla guida del Comune. Dovrà trovare una maggioranza che lo sostenga, una cosa piuttosto complicata. Tutto nasce però dall’equivoco che le sue dimissioni siano state determinate dalla vicenda degli scontrini. Non penso però che sia stata quella la ragione vera delle sue dimissioni.
Come si spiega allora la china discendente del sindaco di Roma?
Marino ha creduto che il suo lavoro fosse quello di essere lo speaker dei romani, mentre il sindaco è un amministratore delegato della città con il compito di risolverne i problemi. Quando si è scontrato con le difficoltà, i problemi e le polemiche che lo hanno riguardato, ha cercato una via d’uscita. Le dimissioni finali comunque concludono una carriera politica, mentre Marino vi aveva investito tutto il suo “tesoretto”. Con le dimissioni ha pensato di avere perso tutto, e adesso forse crede di poter ritornare sui suoi passi.
Il sindaco vuole farsi dimissionare dal consiglio comunale?
Non so se arriverà alla prova di forza, con le dimissioni della maggioranza dei consiglieri comunali. Marino vuole diventare un leader politico, sogna di essere un anti-Renzi, sta guardando con attenzione ai suoi nuovi sostenitori e pensa di trovarli persino tra i suoi antichi avversari come l’M5s in nome dell’odio contro il premier.
Tutto ciò con quali prospettive?
Marino compie un’operazione pienamente politica, con un tentativo di affermazione personale sulla scena. Anche se restasse in piedi non avrebbe nessuna possibilità di essere rieletto come sindaco dal voto popolare. Però potrebbe coltivare il sogno di diventare il leader di una formazione di sinistra e di ritornare in Parlamento.
Che cosa ha in mente Renzi per il dopo-Marino?
Nel Pd romano non emerge un personaggio che possa galvanizzare un elettorato depresso. Non credo che il prefetto Gabrielli si presti a questa operazione. L’unica strada per Renzi, a meno di candidare Francesco Totti, è quella di rubare Marchini al centrodestra. Non cooptandolo a sinistra, bensì affermando che un personaggio come lui può essere appoggiato dal Pd. I sondaggi dicono che Marchini è uno dei pochi in grado di contrastare sia l’M5s sia la Meloni. Del resto a Roma neppure i 5 Stelle hanno in tasca la certezza della vittoria.
Quali ripercussioni possono esserci a livello nazionale?
Ci sarebbero ripercussioni negative soltanto se il Pd dovesse perdere le elezioni a Roma. A farne le spese non sarebbe solo Renzi, perché la vicenda di Marino si svolge tutta nella componente ex Ds, sotto gli auspici di Goffredo Bettini e Matteo Orfini. Renzi furbescamente può dire di non c’entrare, perché non è una situazione che ha creato lui.
Marino è stato molto criticato per non avere saputo governare Roma. E se fosse Roma che, per la sua grande complessità, è una città ingovernabile?
Questo non è vero, Roma è governabile come tutte le grandi capitali. Per farlo ci vuole una grande capacità di lavoro, applicazione, amore per la città nel suo insieme. Serve molto lavoro duro e poco protagonismo. Questa descrizione di Roma e dei romani come una Suburra è sbagliata. Certo c’è la criminalità, ma i romani non aspettano altro che di essere governati. L’errore è stato spingere Marino a dimettersi cavalcando la questione morale, anziché per il fatto di non essere stato un buon amministratore.
(Pietro Vernizzi)