Ci mancava solo Ignazio “Che Marino”! Matteo Renzi sperava di aver archiviato la grana del Comune di Roma con le le dimissioni del primo cittadino. Invece, proprio mentre il suo aereo solca i cieli del Sudamerica, ultima tappa proprio Cuba, sul percorso del premier si affaccia un sindaco che ci ripensa e cita proprio Ernesto Guevara de la Sierra, detto “El Che”. “Siamo realisti, chiediamo l’impossibile”, scandisce alle centinaia di supporters radunatisi in Campidoglio.
Hai voglia a dire — come fa l’assessore-senatore Esposito — che per quanto riguarda il Pd nulla cambia. I canali di dialogo con il Nazareno sono tutti chiusi, e Renzi non ha la minima intenzione di incontrare il sindaco. Ma non è affatto vero che nulla sia cambiato. Marino che ci ripensa e che con ogni probabilità ritirerà le dimissioni complica i piani del premier, che a una sconfitta nella capitale proprio non intende rassegnarsi.
Così però la situazione diventa irrecuperabile e ingestibile. Marino ha cambiato atteggiamento dopo essere stato sentito in Procura. Si è sentito confortato dal non essere stato iscritto nel registro degli indagati per la faccenda degli scontrini, e ha intravisto la possibilità di intercettare il malessere di una parte della società civile romana in nome della legalità. Lui è convinto di essere stato piegato proprio per la sua lotta al malaffare, e di sostenitori nel ha trovati parecchi. Da qui prima l’ipotesi di correre di nuovo alle primarie, poi l’assicurazione che non deluderà i suoi sostenitori e convocherà uno ad uno i consiglieri di maggioranza per farsi spiegare le ragioni del no alla prosecuzione della sua esperienza amministrativa.
Non è chiaro su quali basi Marino sia convinto di poterla spuntare, oppure se stia soltanto cercando di alzare il prezzo. Di certo, però, si prospettano sette giorni di fuoco sino al 2 novembre, data dopo cui le dimissioni diventeranno irrevocabili. E se dovessero essere ritirate, la prospettiva è quella di una devastante conta dentro l’aula Giulio Cesare. Devastante soprattutto per il Pd.
Il terreno scelto da Marino per tentare di aggrapparsi alla poltrona è infatti quanto di più scivoloso vi sia oggi per il partito di Renzi, la legalità e la lotta alla corruzione. Quando una legge di stabilità prevede l’innalzamento della soglia del contante a 3000 euro, l’abolizione dell’obbligo dei bonifici per pagare gli affitti, facilitazioni per il gioco d’azzardo e taglio delle tasse sulla casa c’è un pezzo di sinistra che non ci sta. Se poi Verdini è sempre più vicino alla maggioranza, al punto che parlare di un suo ingresso organico nella coalizione non appartiene alla categoria dell’assurdo, allora il quadro è completo. E la misura è colma.
Non a caso in questo clima si è riacceso lo scontro con la magistratura. Il presidente dell’Anm, Sabelli, nel giro di 48 ore è stato costretto a correggere parzialmente il tiro. L’accusa, però, rimane: un governo più attento alle intercettazioni che alla lotta alla mafia, un disegno di delegittimazione dei giudici. Accuse tanto più pesanti, nel momento in cui sono state formulate di fronte al presidente della Repubblica, Mattarella.
Renzi ha incaricato il guardasigilli Orlando e il ministro Boschi di tentare una ricucitura, nel segno del riconoscimento dell’indispensabile ruolo della magistratura. Ma nello stesso tempo il titolare del Viminale, Alfano, richiamava le toghe alla necessità di un’autocritica sugli errori della categoria. Evidente che l’incidente è chiuso, ma solo per ora. Il fuoco cova sotto la cenere e può riprendere vigore in qualsiasi momento.
Il fastidio del premier trapela da quanto scrive su Facebook nel suo diario del viaggio in America Latina. Racconta di aver incontrato un’Italia di cui essere orgogliosi, “che non è l’Italietta delle polemiche di parte della politica o della comunicazione, vecchia o nuova”. Indice di un passo diverso da quello cui lo costringono le beghe nostrane.
Eppure sottovalutare il duplice rischio costituito da Marino e dal grande freddo con i magistrati potrebbe costargli molto caro, anche perché gli analisti della pubblica opinione indicano come massima l’attenzione degli elettori ai temi della legalità, temi che Mattarella non si stanca di riproporre a ogni occasione. Da soli questi temi non sono sufficienti a coagulare un consenso organizzato. Potrebbero però andare a sommarsi a quei temi sociali e istituzionali che la sinistra democratica ha avuto paura di cavalcare con decisione. Combattere concretamente il malaffare, le mafie e le connivenze potrebbe essere un punto programmatico qualificante, anche se non l’unico, di un possibile contenitore a sinistra del Pd. Del resto, Vendola ha certificato la morte del centrosinistra (“lo ha ucciso Renzi”), e da quelle parti la tensione cresce.
Dopo mesi di navigazione tranquilla nel mare della politica italiana che sta dominando, Renzi si trova all’improvviso due ostacoli insidiosi. E fra Scilla e Cariddi c’è sempre il rischio di andare a sbattere.