“Il Pd rinunci a presentare il suo simbolo alle prossime elezioni a Roma e si limiti a sostenere un insieme di liste civiche nelle quali faccia confluire le sue forze sane”. E’ l’invito di Alfredo D’Attorre, deputato del Pd, a proposito del braccio di ferro tra il sindaco di Roma, Ignazio Marino, e la dirigenza del partito. Ieri Marino si è incontrato con il commissario romano del Pd, Matteo Orfini, a casa del vicesindaco Marco Causi. A scendere in difesa del sindaco ieri era stato Corradino Mineo, appena dimessosi dal gruppo del Pd a Palazzo Madama, secondo cui Marino “ha ragione sì, del resto perché dovrebbe andarsene via? Lui vuole difendere quella parte di cose buone che ha fatto e il Pd non sa che fare. Lo smarrimento è assoluto”.
Onorevole D’Attorre, Marino deve rimanere al suo posto o si deve dimettere?
Questa è una decisione che deve prendere Marino insieme alla giunta e ai consiglieri che lo hanno sostenuto. Quello che serve, e che è mancato totalmente finora, è un percorso di chiarezza. Serve un’esplicitazione delle ragioni per le quali Renzi e Orfini chiedono le dimissioni del sindaco, nonché un confronto pubblico con cui Marino spieghi se è in condizioni o meno di fare luce sui punti critici, o se invece non essendo in condizioni per farlo debba dimettersi. A essere mancate in questa vicenda sono chiarezza e linearità. Siamo passati dall’esibizione di Marino come icona anti-mafia alla sua demonizzazione.
C’è qualcosa di poco chiaro nei motivi per cui il Pd ha chiesto le dimissioni di Marino?
Questo non lo so. Quello che percepisco è un disorientamento tra i cittadini e in particolare nell’elettorato democratico. Ho la sensazione che questa scarsa linearità abbia fatto riconquistare a Marino una quota di simpatie e di sostegno che aveva perso a fronte di un’azione amministrativa che non era stata particolarmente brillante.
Renzi si è infilato in questo vicolo cieco per sprovvedutezza o per un errore politico?
In primo luogo per arroganza. Nel Pd ormai c’è l’idea che ci si debba allineare senza discutere alle direttive del capo. Orfini ha provato ad applicare questo modello anche a Roma come plenipotenziario di Renzi. Il segretario a un certo punto ha cambiato linea su Marino senza nemmeno informare Orfini, e tutto ciò ha determinato un’enorme confusione. Una situazione tipica di un partito il cui capo decide senza consultare nessuno, pretendendo che i suoi cambiamenti di orientamento diventino immediatamente la nuova linea del partito.
Come valuta il modo in cui Renzi ha gestito la crisi?
Renzi ha affrontato il caso Marino con battute e allusioni. Questo sarebbe stato inaccettabile per qualsiasi Comune italiano, ma è semplicemente sconcertante dal momento che stiamo parlando della Capitale. Il premier ha dimostrato tutta la sua resistenza a mettere la faccia nelle situazioni di difficoltà, apparendo soltanto dove ci sono dei successi da raccontare.
Come si può risolvere la crisi all’interno del Pd romano?
Va fatta una grande operazione di apertura e di rinnovamento. Non mi pare che si sia andati avanti in questa direzione affrontando i problemi reali. Oggi non siamo nemmeno in condizioni in cui il Pd è in grado di presentarsi con la sua lista alle elezioni di Roma. La scelta più saggia è rinunciare a presentarsi come Pd, mettendo tutte le forze sane a disposizione di un progetto di riscossa civica che rinasca dal basso in modo autonomo.
E’ meglio limitarsi a presentare delle liste civiche senza il simbolo del Pd?
Sì, il Pd farebbe meglio a evitare di imporre delle soluzioni per mettere invece le forze sane di cui ancora dispone al servizio di un progetto civico. Per tutto quello che è successo negli anni precedenti e per la gestione piuttosto infelice della vicenda Marino, la città di Roma non riconosce al Pd né il titolo per proporre una figura di guida né la funzione di forza centrale attorno a cui costruire una coalizione di governo.
Per Cantone, “Milano è la capitale morale mentre Roma non ha gli anticorpi”. E’ davvero così?
Questa contrapposizione tra Milano e Roma è abbastanza facile da fare. Ma se non si assume la questione di Roma come un problema nazionale, tirando fuori la Capitale da questa condizione, a risentirne sarà tutta l’Italia. E’ un’illusione pensare che i destini di Milano possano essere separati da quelli della Capitale.
Dove sta andando il Pd a livello nazionale?
Questo Pd è sempre più il partito del capo, sempre più svuotato nei suoi luoghi di partecipazione democratica e sempre più appiattito sulla leadership renziana e sulle funzioni di governo. Lungo questa strada il partito come organismo collettivo è destinato a scomparire, e la vita stessa del Pd diventa a rischio nel momento in cui si concluderanno le esperienze di governo e verrà meno la gestione del potere.
(Pietro Vernizzi)