La grande stampa nazionale e i media televisivi hanno estratto dal cilindro niente meno che il vecchio e logoro “coniglio bianco” del campanilismo tra Roma e Milano. Ma la vicenda convulsa che si sta svolgendo da un lato in Campidoglio, tra riunioni di giunta a ripetizione, dichiarazioni del sindaco Ignazio Marino (ormai tetragono alle dimissioni), manovre nervose del Pd e dall’altro quello che ha letteralmente scatenato Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, con le sue dichiarazioni su Milano “capitale morale” in contrapposizione a Roma che non ha “anticorpi” per vincere la corruzione, può essere descritta in cento modi tranne che come una vicenda campanilistica.



Quando Marino ha annunciato di aver ritirato le dimissioni e si è dichiarato pronto allo scontro nell’aula consiliare, dopo gli ultimatum, o presunti tali, che arrivavano da via del Nazareno a Roma, si è compresa tutta l’inconsistenza e l’improvvisazione della classe politica dirigente italiana, includendovi di diritto il Partito democratico, che ora si trova in grande imbarazzo e che, nei prossimi giorni, dovrà chiarire molte delle posizioni prese in questi mesi.



Il presidente del Consiglio e segretario nazionale del Pd, Matteo Renzi, ufficialmente non sarebbe intervenuto nella storiaccia capitolina. Ma è una autentica leggenda metropolitana questa dell’attesa rispettosa di Renzi alle vicende del Campidoglio. Il suggerimento che arrivava da Palazzo Chigi era quello di liberarsi del “marziano”, che inanellava gaffes e incidenti persino con il Vaticano. Da mesi è entrata in campo, all’interno del Pd, la vecchia guardia dalemiana, anche se ufficialmente convertita al renzismo. Il presidente del partito Matteo Orfini, ad esempio, ha attuato tutti i ghirigori possibili per guadagnare o per perdere tempo, a suo modo cercando di tutelare o addirittura proteggendo il sindaco Marino.



Anche il commissariamento del partito romano e il famoso “rapporto Barca”, cioè del “tecnico” ma iscritto al Pd Fabrizio Barca, avrebbe in qualche modo tutelato il “marziano”, mettendo in contrapposizione la correttezza, l’onestà, la capacità, la competenza e la dedizione del sopraddetto “marziano” rispetto alla “suburra” di Mafia capitale. C’è più di un iscritto e di qualche esponente del Pd che non sarebbe d’accordo con le conclusioni sulla realtà descritta e documentata dal tecnico Barca, soprattutto su alcune sezioni e su alcuni circoli, giudicati sbrigativamente. Insomma, si sarebbe stilato un alone di positiva partecipazione e iniziativa di Marino, creando così un’aria complessiva di “salvataggio” del sindaco che sarebbe stato circondato da una compagnia poco raccomandabile.

Quindi tutto si ridurrebbe ai ticket, alle note spese sbagliate dalle segretarie di Marino? Ma non scherziamo, per favore! C’è una realtà politica e istituzionale romana deteriorata oltre ogni limite e un sindaco che, usando un eufemismo, possiamo definire “non all’altezza della situazione”. Non se ne sono accorti solamente i bimillenari abitanti dell’altra sponda del Tevere, ma anche la stragrande maggioranza dei romani e degli italiani.

Il fatto è che per il Pd, per lo stesso governo Renzi, Roma doveva essere una base strategica del rilancio del Paese e dell’iniziativa politica del centrosinistra. Ma il tutto finirà con un dibattito consiliare concitato, dimissioni a blocchi e contrapposizioni destinate a rimanere nella memoria per i prossimi anni. In questo momento, il Pd vorrebbe soprattutto che si dimenticasse Roma, il Campidoglio e il sindaco Marino. E’ per questo contesto confuso e convulso romano che si sposta il bersaglio del rilancio, del Paese e del Pd su Milano da parte di Renzi e del suo quartier generale. Ma l’operazione, in questa Italia dove qualcuno afferma che “è tutto fuori controllo”, non è semplicissima. Milano in questi anni è stata governata da un sindaco di sinistra che è espressione di una maggioranza più vasta di quella del Pd. Giuliano Pisapia è un autentico garantista, ma espressione più di Sel che del Pd.

E’ indubbiamente vero che, in seguito, Pisapia è stato appoggiato e spalleggiato fortemente dal presidente del Consiglio, con grande slancio in questi mesi di Expo. E non c’è dubbio che la “scommessa vinta” dell’Expo ha avvicinato ancora di più Renzi e Pisapia.

Giustamente il sindaco di Milano potrebbe chiedere “qualcosa” per sé, nel momento in cui lascia la sedia di Palazzo Marino, e nello stesso tempo potrebbe garantire la nomina del suo successore che molti individuano nel commissario unico e amministratore delegato di Expo, Giuseppe Sala, un sindaco che metterebbe d’accordo tutti.

Ma la realtà è complessa. Nel groviglio dei problemi italiani si inserisce anche, positivamente, il presidente dell’Autorità anticorruzione, Raffaele Cantone, perché è grazie a lui, con la sua azione e le sue garanzie, che l’Expo di Milano ha ottenuto un successo quasi insperato ed ha percorso indenne il difficile sentiero degli appalti dove puntualmente sono in agguato il malaffare e la corruzione.

Che succede il 28 ottobre a Milano, mentre a Roma ci si agita all’interno e al di fuori del Campidoglio ?

Cantone viene premiato da Pisapia, con la consegna del Sigillo della città. Il presidente dell’Anac loda Milano, che  “si è riappropriata del ruolo di capitale morale” e fa balenare in quelli che ascoltano la candidatura di un tecnico come Giuseppe Sala, l’uomo dell’Expo, con la benedizione dell’Autorità anticorruzione.

Il giorno dopo, 29 ottobre, mentre a Roma si entra in una fase di “baccanali”, Giuseppe Sala viene nominato nel consiglio di amministrazione della Cassa Depositi e Prestiti. Un incarico non da poco: adeguato come “buonuscita” per un Expo su cui Renzi ha puntato molto e che ha riscosso un successo di pubblico forse inatteso. 

Ma anche un incarico ricco di ulteriori potenzialità per un top manager delle infrastrutture come Sala: alla Cdp fanno capo attività importanti come F2I, FSI e FII (i due fondi di private equity pubblico), l’edilizia sociale, senza dimenticare Metroweb e il progetto nazionale Banda Larga, appena avviato. Non deve dunque stupire se più di un osservatore, ieri sera, considerasse la nomina come incompatibile con la possibile candidatura per Palazzo Marino. Un po’ a sorpresa, è stato per lo stesso Sala a dichiarare: “È un ruolo da consigliere che può lasciare aperto assolutamente tutto. Nessuna pietra tombale, sono anzi onorato che qualcuno pensi a me per Milano”. 

Tutto chiarito? Troppa grazia Sant’Antonio. Raffaele Cantone non è un personaggio di secondo piano, non può essere solo il garante di un accordo. Se si guarda all’Italia di oggi, ai nuovi poteri che si stanno formando e consolidando, Cantone può essere considerato, dopo Mario Draghi, l’uomo più conosciuto e apprezzato all’estero, soprattutto al di là dell’Atlantico. Si muove con disinvoltura e sicurezza. E’ un magistrato in aspettativa che polemizza apertamente con l’Associazione nazionale magistrati, alla quale, ieri, ha indirettamente comunicato che forse non si iscriverà più, sfidando in questo modo il presidente dell’Anm Rodolfo Sabelli.

Sorge quindi un dubbio di fronte a un simile nuovo protagonista della vita italiana: e se a Milano, Cantone avesse lanciato se stesso per la corsa alla prima poltrona di Palazzo Marino, puntando in sostanza a un ruolo politico e istituzionale ancora più importante? Non ci sarebbe da stupirsi. Anche se la partita del Pd, nel gioco politico nazionale, diventerebbe ancora più problematica. Ma, dopo la telenovela romana, non è facile per il Pd fare lo schizzinoso.