La fotografia del momento politico sta tutta nella canzoncina che Denis Verdini accenna in tv sulle note di un’aria di Domenica Modugno e che — spiega — utilizza per sfottere al telefono il braccio destro di Renzi, Luca Lotti. “La maggioranza sai è come il vento, che rischia di finire in Migliavacca, quando Gotor si sveglia e poi si inca..a”.
Tra il serio e il faceto Verdini assicura che il suo gruppo Ala non ha nessuna intenzione di entrare nel Pd ma è fondamentale per le riforme perché altrimenti “al Senato non c’è una maggioranza”. Mostra spavalderia l’ex braccio destro di Berlusconi, e i numeri in effetti sono dalla sua parte, visto che al Senato l’articolo 2 della riforma costituzionale (il più importante) è passato con soli 160 voti, uno in meno della maggioranza assoluta. Il suo manipolo è stato determinante per limitare i danni delle assenze strategiche nell’area centrista della coalizione, che è il vero ventre molle della maggioranza, dal momento che — alla fine — Renzi ha spianato la sua minoranza interna, ricompattando il Pd. Da quelle parti i franchi tiratori sono stati pochissimi, sui banchi degli alfaniani vuoti evidenti e pesanti.
Venerdì in aula a Palazzo Madama Maria Elena Boschi e Anna Finocchiaro si scambiavano reciproci complimenti. Il peggio era passato, adesso il percorso della revisione della Costituzione appare in discesa. Anche Renzi ha mostrato soddisfazione, ma è troppo scafato per pensare di poter dormire sugli allori.
Volente o nolente si è dovuto piegare a un pubblico riconoscimento politico a Verdini, lodando la coerenza di chi — a differenza di Berlusconi — ha votato in Senato la riforma sia nel primo che nel secondo passaggio, e quindi “fa l’interesse dell’Italia”. “Allucinante chiedergli di votare no, il problema è solo di Berlusconi che ha cambiato idea”, ha spiegato il premier.
Ma se “Verdini non è il mostro di Loch Ness”, egualmente fa paura alla sinistra democratica, che ne vede un sostanziale ingresso nella maggioranza, anche se i due protagonisti — tanto Verdini quanto Renzi — si accalorano nella smentita.
Resta il fatto che l’ex coordinatore azzurro loda un premier “che non ha più un atteggiamento becero” e che si dice pronto a sostenere il governo in materia di giustizia e di taglio delle tasse. In buona sostanza i verdiniani sono risultati decisivi, e potrebbero esserlo ancora molte volte nei prossimi mesi, con il dubbio latente del vero atteggiamento di Berlusconi, se cioè Verdini si sia assunto il ruolo di sponda di Renzi con il beneplacito del suo vecchio capo oppure no.
Il problema, quindi, è il dopo riforme. La battaglia del Senato è pressoché vinta, ma potrebbe trasformarsi per il governo in una vittoria di Pirro. Il processo di decomposizione del centro è molto più veloce del deterioramento dei rapporti all’interno del Pd. Una minoranza che ha chinato per l’ennesima volta la testa allineandosi in cambio di poche briciole sembra avere definitivamente perduto la forza di opporsi al leader, che per il momento si ritrova padrone incontrastato del partito.
Dentro Area Popolare, invece, in molti si sentono franare la terra sotto i piedi. E il gruppo parlamentare continua a essere diviso fra chi vorrebbe ritornare nel centrodestra e chi, invece, vorrebbe trasformare in stabile il rapporto di collaborazione con il Pd. A tenere unite le varie anime solo la richiesta di ritoccare l’Italicum, riportando il premio di maggioranza dalla lista alla coalizione. Solo così Ncd e compagnia cantante avrebbero una chance di accasarsi, o di qua, o di là. In caso contrario, la sorte del partitino centrista sembra segnata, perché probabilmente solo qualche esponente isolato riuscirebbe a trovare posto in un listone. Di destra o di sinistra poco importa.
Come un consumato giocatore di poker, Renzi ha scelto di rilanciare, così da evitare di scoprire eventuali bluff. E’ andato in tv a promettere l’anticipo al 2016 del taglio dell’Ires sulle imprese, così come dell’abbassamento della tassa più odiata dagli italiani, il canone Rai. Obiettivo dichiarato quello di ridare fiducia agli italiani, alle imprese, come ai privati, perché è dalla ripresa economica che conta e spera di ricevere il carburante necessario a evitare di finire impaludato.
Avanti a tappe forzate, quindi, visto che in parlamento il rischio è proprio quello della palude. In una legislatura da Guinness dei primati quanto a cambi di casacca (si sfiora quota 300 in due anni e mezzo) tutto diventa difficile, soprattutto al Senato. E non si può rinviare all’infinito decisioni chiare su temi delicati, come le unioni civili, scivolati all’inizio del prossimo anno per l’incombere della sessione di bilancio, senza che i nodi più divisivi siano stati sciolti. Il rischio di scivolare su una buccia di banana in un quadro tanto precario rimane sempre dietro l’angolo.