Al Senato le votazioni procedono in un ‘atmosfera surriscaldata, tanto per usare un eufemismo. Ma non c’è dubbio che tra insulti, incroci polemici roventi, algoritmi che “sfornano” emendamenti a milioni e vengono dichiarati impresentabili, forze politiche che non partecipano al voto per protesta, la riforma istituzionale va avanti e il governo di Matteo Renzi dimostra — anche se con qualche difficoltà, anche grazie agli aiuti verdiniani — di avere i voti necessari.
E’ sicuro che alla fine il Parlamento italiano sarà riformato. Ma il problema che sembra porsi in questo momento non è solo di rispetto delle prerogative democratiche, non si pone solo la preoccupazione di tutelare gli spazi di democrazia, di libertà, di rappresentatività. In alcuni c’è anche la paura di una concentrazione del potere in poche mani. Ma da oggi pare che ci sia un problema ulteriore di carattere politico complessivo, che riguarda tutti gli schieramenti politici.
Secondo un recente sondaggio di Euromedia, che ha fatto tanto parlare nei giorni scorsi, l’accordo sulle riforme tra il Pd e la pattuglia dei “fuorusciti” di Forza Italia di Denis Verdini costerebbe in voti a Matteo Renzi ben sette punti in percentuale. Insomma, in sostanza ci sarebbe un crollo del Partito democratico e un autentico “balzo in avanti” del M5s di Beppe Grillo verso una quota valutata intorno al 32 percento dell’elettorato. Uno scossone, un terremoto sulle previsioni, da far rivedere tutti i quadri politici possibili e immaginabili.
Ora, ci sono tanti che sostengono che tutti i sondaggi vanno presi con le molle e che non bisogna poi dargli molto peso. Ma alla fine i sondaggi raramente sbagliano in modo grossolano, vedono quasi sempre bene le tendenze e tutti, ogni settimana, li guardano e li riguardano con attenzione.
Questa settimana Nicola Piepoli inserirà nel suo consueto rapporto per l’Ansa una domanda per verificare questa tendenza. Al momento è già in grado di fare una prima valutazione.
Che ne pensa, professor Piepoli, di una simile prospettiva?
La tendenza può essere giudicata credibile.
Il problema però è valutare un simile possibile terremoto, dopo il lungo braccio di ferro all’interno del Pd.
Cerchiamo di ragionare con un minimo di metodo. In quasi tutti i Paesi democratici esiste un “centroide”, un baricentro sul versante di sinistra o di destra. Da noi è rappresentato, in questo momento storico, solo dal Pd di Matteo Renzi. Se una parte del suo elettorato non lo riconosce più come baricentro scatta un meccanismo di “situazione rivoluzionaria” nella testa degli elettori. In quel momento effettivamente tutto può essere rimesso in discussione, può provocare un quadro politico di previsione completamente diverso da quello che sembrava consolidarsi. E la polemica all’interno del Pd può essere stata valutata anche come il riflesso di un mutamento del partito.
Sembra che lei stia descrivendo una situazione ancora di estrema incertezza.
C’è sempre incertezza, insicurezza e c’è in tutto il Paese, in tutta la società italiana, anche una sorta di lento imbarbarimento. La povertà non ci fa affatto più buoni, l’insicurezza economica non provoca maggiore razionalità nell’affrontare i problemi, anche quelli politici. In simili situazioni tutto diventa poco prevedibile, ma soprattutto i mutamenti dell’opinione pubblica diventano improvvisi, spesso inaspettati.
(Gianluigi Da Rold)