E’ un passaggio delicatissimo quello che, anche storicamente, si può definire il “caso Marino”: sfociato ieri sera nelle singolari dimissioni “a revoca entro venti giorni” del sindaco di Roma. La caotica giornata di ieri, attorno al Campidoglio, ha rivelato quanto problematico sarà il passaggio per il Partito democratico, quanto difficile per Roma, quanto fastidioso per Matteo Renzi e insidioso per lo stesso governo. Gli aggettivi si possono sprecare e si possono addirittura inventare dei neologismi.



Roberto Weber, sondaggista e fondatore di Ixè, ricercatore raffinato delle tendenze dell’opinione pubblica, si trasforma quasi in uno psicanalista nel giudicare la vicenda di Ignazio Marino. Sembra ironizzare: “Direi che il personaggio ha un profilo psicologico interessante. Fosse per lui non si sarebbe mai dimesso”. E per la verità si è dimesso solo di fronte a una rivolta senza precedenti degli abitanti di Roma: a cominciare da Papa Francesco.



Ma non manca chi intravvede un filo logico in questa cocciutaggine: è come se Marino, di fronte al fallimento della strategia del Pd e a una probabile sconfitta volesse addebitare la colpa tutta al partito che ormai lo ha scaricato. Già ieri mattina, tra i palazzi romani, dal Campidoglio a via del Nazareno, fino a Palazzo Chigi, la sorte del “sindaco fino al 2023” è parsa segnata. Mercoledì sera, in uno dei tanti talk-show televisivi, l’informatissimo Paolo Mieli ne decretava le dimissioni, perché la vicenda della “nota spesa” tutta sbagliata dei ristoranti romani ricostruita da Marino assomigliava tantissimo a quella vecchia, quella americana, che si è aggiunta a una serie di gaffes del primo cittadino della capitale.



Weber dice: “Dev’essere un uomo che ha un problema con i soldi, magari è solo tirchieria”. Tuttavia, dopo le premesse di analisi caratteriale, Weber comincia a stilare la sua analisi politica: “Marino è sfuggito di mano al Pd. Pensavano di poterlo gestire, anche con quella sorta di commissariamento e di varie tutele. Con l’azione di Matteo Orfini, con i consigli e la presenza del prefetto Franco Gabrielli. Ma l’uomo Ignazio Marino è veramente imprevedibile. Se il tentativo è stato quello di mantenere tutta questa vicenda in un profilo basso, l’obiettivo degli esponenti del Pd non è stato raggiunto. Bisogna prenderne atto. E infatti il Pd ha dovuto percorrere fino in fondo una sorta di calvario politico: le dimissioni a catena degli assessori, la sfiducia arrivata da Pd e anche da Sel”.

Scongiurata all’ultimo la sceneggiata finale, cioè la sfiducia in Consiglio comunale, quali saranno i contraccolpi politici ed elettorali?

Un minuto prima dell’elezione di Marino il pronostico elettorale era molto orientato: un exploit senza precedenti al M5s, al movimento di Beppe Grillo. Se si considera, con i rilevamenti in corso, che il M5s viaggia nel Paese intorno, o poco sopra, al 25 percento, a Roma il rischio è che si possa aggiudicare il 40 percento dell’elettorato. La vicenda è stata troppo lunga, troppo contorta. La “nota spese” dopo il duro “confronto”, usiamo un eufemismo, con il Papa, hanno probabilmente provocato un corto circuito nell’elettorato cittadino.

Altre forze politiche che possono contrastare questa tendenza?

Mi pare che dovranno passare alcuni anni prima che il centrodestra possa ricostituirsi come una forza di aggregazione e in grado di indicare un suo candidato. Ci potrebbe essere Alfio Marchini a correre, ma non credo che possa, in questo momento, insidiare la posizione che si sono conquistati i 5 Stelle. A Roma, secondo i sondaggi, stanno dilagando.

 

Mi scusi dottor Weber, questo coinvolge anche la credibilità di Matteo Renzi?

Credo proprio di no. Mi sento di dire che Renzi non risentirà molto di questa situazione che investe il Pd. Certamente sarà infastidito, ma non credo che per lui il caso Marino possa trasformarsi in un contraccolpo elettorale. Tutto quello che è avvenuto a Roma è una realtà locale che viene dal passato. Ci sono altre situazioni come quella di Marino. Pensiamo solo al sindaco di Napoli, de Magistris, oppure al governatore della Sicilia, Crocetta. Disturbano, investono il Pd a livello locale, non la politica di Renzi a livello nazionale, che è proiettata su altri obiettivi e sembra percepita diversamente dall’elettorato.

 

Ha riscontri su questa differenza tra Pd nazionale e realtà locali del Pd?

Ci sono e, come dicevo, non mettono in crisi Matteo Renzi, che si è mantenuto spesso defilato, quasi mantenendo le distanze con queste realtà. Il quadro generale non cambia di molto: cresce l’astensionismo, o si mantiene su livelli altissimi. Nel Paese si avverte e si percepisce una sorta ormai di rancore, come se i cittadini dicessero: anche io ho dato qualche cosa a questo Paese e ora non ricevo nulla in cambio. Ma nell’insieme l’attuale maggioranza tiene e le realtà locali non incidono sulla leadership del presidente del Consiglio. Forse è l’assenza di alternative reali, di uno sfaldamento. In fondo un personaggio come Ignazio Marino risponde alla realtà politica che è maturata in tante parti del Paese.

 

(Gianluigi Da Rold)